Spunti dall’Agorà del PD “Una strategia per l’automotive”

Di Matteo Anatra.

Nel file PDF sono disponibili anche note e tabelle»

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L’agorà del Pd “Una strategia per l’automotive” tenutasi nei giorni scorsi (11-3-2022)   ha visto una ampia e qualificata partecipazione di manager, di Confindustria, dei Sindacati, del Governo, degli Enti Locali e di importanti esponenti politici. L’evento è stato particolarmente opportuno sia per i contenuti affrontati che per il metodo. I contenuti sono sicuramente rilevanti: sono note l’importanza strategica e le difficoltà congiunturali e strutturali del settore automotive italiano, impegnato in una difficile e complessa transizione ecologica. Sul piano del metodo appare corretta l’idea di sostenere con momenti partecipativi l’iniziativa governativa e istituzionale che sia pure con difficoltà sta prendendo corpo.

  1. La congiuntura e la struttura del settore automotive

In Italia ed in Europa di auto se ne vendono sempre meno e la crisi dei microchip e dei semiconduttori ha ridotto la disponibilità di nuovi modelli dilatando nel tempo le consegne e scoraggiando così possibili acquirenti. Secondo i dati pubblicati dal Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili, a febbraio 2022 il mercato italiano dell’auto totalizza 110.869 immatricolazioni contro le 143.161 (-22,6%) unità registrate a febbraio 2021. I volumi immatricolati nell’intero 2021 ammontavano a 1.457.952 unità, con un calo rispetto al 2019, del 23,9%. Per quanto riguarda la produzione è bene ricordare che si è passati da 1.6 mln di autovetture prodotte in Italia nel 1997 a 452 mila nel 2020. E questo è un segno estremamente negativo se solo si pensa alla definizione (in relazione al 900) del settore auto come “industria delle industrie) data da Peter Drucker, per sottolineare il contributo della filiera auto alla struttura industriale di un paese. Per capire fin dove è arrivato il declino del settore automobilistico in Italia può essere utile il confronto con la Spagna. Nonostante la storica presenza di un solo grande costruttore nazionale – cioè la Seat – la Spagna è ormai da anni il secondo produttore di auto in Europa dopo la Germania. Più avanti dunque di nazioni dalla grande tradizione motoristica come la Francia, il Regno Unito e, soprattutto, l’Italia. In Spagna nel 2020 sono state assemblate 1,8 milioni di auto, cioè quattro volte quelle della nostra penisola (fonte: Anfac Informe Anual 2020).

Passando agli ultimi dati del Gruppo Stellantis, vediamo che quest’ultimo in Italia, totalizza nel mese di febbraio 2022, 41.987 immatricolazioni (-29,1%), rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente con una quota di mercato del 37,9%. Nel cumulato da inizio 2021, le immatricolazioni complessive del Gruppo ammontavano al 31.12.2021 a 551.421 unità (+2,7%), con una quota di mercato del 37,8%.

La filiera automotive italiana è composta non solo dai produttori di auto e di autoveicoli commerciali, ma anche dalle specializzazioni produttive che caratterizzano i distretti della componentistica. Siamo ottimi contoterzisti per la componentistica di qualità (anche perché abbiamo un costo del lavoro più basso, ad esempio dei competitor tedeschi) e abbiamo un grande patrimonio di capacità imprenditoriale e di professionalità dei lavoratori. Nel 2020, le oltre 2.200 imprese che compongono l’universo della compo-nentistica automotive hanno impiegato nel settore 161.465 addetti e generato un fatturato, da esso direttamente derivante, pari a 44,8mld di €. Con questi numeri si capisce come mai le attenzioni   dei sindacati siano ripartite tra il comparto della componentistica e le aziende produttrici o assemblatrici (oggi sostanzialmente Stellantis  – a cui è sono da aggiungere ma con numeri residuali  CNHi-Iveco, IIA, VolksWagen e Ferrari).

 

  1. Scenari del mondo Automotive

La transizione ecologica ha indotto i produttori e i componentisti a ingenti investimenti per rendere le autovetture sempre meno inquinanti. Il passaggio verso l’elettrico è una tappa fondamentale nella strategia per rendere l’Europa neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050. Per raggiungere questo traguardo, la Commissione Europea ha adottato il pacchetto “Fit for 55” che prevede di ridurre del 55% le emissioni delle automobili entro il 2030 e portare a zero le emissioni prodotte dalle automobili nuove entro il 2035. Ovviamente come la pandemia prima e ora la guerra in Ucraina, ci hanno insegnato, è difficile fare previsioni sui tempi e le modalità della transizione all’auto elettrica di qui al 2035.Molto dipende dalla risposta che sapremo dare a una serie di problemi aperti:

  • Le auto elettriche sono molto costose. I prezzi devono abbassarsi e si stanno abbassando La prima domanda è quali prezzi ci saranno nel futuro. La parità di prezzo tra i motori endotermici e quelli elettrici si dovrebbe raggiungere tra il 2025 e il 2030.I costi delle batterie sono quelli che incidono di più sul costo totale e negli ultimi dieci anni i prezzi sono scesi moltissimo perché la tecnologia si è evoluta. La soglia magica è di 100 dollari.
  • La seconda domanda connessa con la prima è come si garantisce l’accesso all’auto elettrica alle fasce più deboli della società e come si possono aiutare le imprese a corrispondere a questa esigenza.
  • Secondo la società di consulenza Boston Consulting Group a livello mondiale nel 2030 ca il 50% delle auto vendute sarà ad alimentazione ibrida e ca il 30% full-electric, con notevoli differenze tra i continenti.
  • In Italia alcuni alti manager del settore delle utility, citiamo ad esempio Starace (A.D. di Enel) e Mazzoncini (A.D. di A2A), sono ottimisti sulla transizione all’elettrico. Quest’ultimo nel suo recente libro “Inversione a E”, sostiene che la possibilità di rispettare gli obiettivi fissati al 2035 dalla comunità europea per la fine delle vetture a motore termico potrebbe essere realistico.
  • Secondo il Cluster Lombardo della Mobilità invece endotermico, idrogeno, elettrico saranno i tre pilastri dell’automotive. Le proposte del Cluster si fondano sul principio della neutralità tecnologica che attribuisce pari dignità e sostegno a tutte le trazioni (compresi i motori endotermici se alimentati con carburanti non fossili o a basso contenuto di carbonio) e raccomandano una graduale e razionale transizione, evitando fughe in avanti.

 

  1. Impatti

Al di là dei tira e molla sui tempi, il motore elettrico si sta imponendo e tutti sono d’accordo sul fatto che per produrlo serve un 30% di manodopera in meno. Secondo Anfia -Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica- fino all’85% dei componenti del “powertrain” tradizionale risultano “superati” nei veicoli elettrici che prevedono un’architettura molto semplificata rispetto a un veicolo tradizionale (si passa da 1400 a 200 componenti circa), mentre altri componenti (come i sistemi di raffreddamento e trasmissione) devono essere modificati per adeguarsi a una configurazione ibrida e alle batterie. Secondo Federmecca-nica e Sindacati, in assenza di interventi di politica industriale, l’Italia potrebbe avere una perdita di circa 73 mila posti di lavoro, di cui 63 mila nel periodo 2025-2030. In un documento congiunto hanno auspicato pertanto una transizione programmata per gestire e guidare questo cambiamento epocale senza subirlo, predisponendo interventi strutturali senza correre dietro a singole emergenze.

 

  1. Le diverse posizioni emerse nel dibattito

Il governo ha messo in campo alcune misure nel cosiddetto Decreto Bollette pubblicato in GU il 1° marzo. Il DL 17/2022 istituisce un nuovo Fondo “al fine di favorire la transizione verde, la ricerca, la riconversione e riqualificazione dell’industria del settore automotive, nonché per il riconoscimento di incentivi all’acquisto di veicoli non inquinanti”. Il Fondo in questione prevede finanziamenti fino al 2030: si partirà nel 2022 con 700 milioni di euro e poi verranno destinati al fondo 1 miliardo di euro per ciascuno degli anni successivi per un totale, ad oggi, di 8,7 miliardi di euro a cui si aggiungono, sempre al 2030 i 4 miliardi di euro a sostegno del settore dei microchip. Durante l’Agorà sono emerse due linee nel governo.

Giorgetti

Giorgetti si è soffermato, con riferimento al tavolo con Stellantis, sul destino dei produttori in Italia. «Il tentativo di riportare produzioni in Italia è un imperativo, non facile, ma stiamo incalzando l’azienda su questo», ha affermato Giorgetti e ha continuato. «Vogliamo privilegiare ciò che si produce in Italia. Se lo Stato mette importanti risorse pubbliche deve valorizzare ciò che viene prodotto nel Paese e non all’estero. Ma serve l’impegno di Stellantis che deve continuare a credere nella produzione in Italia». Sul tema dell’auto elettrica il responsabile dello Sviluppo economico ha ricordato che il nostro Paese non ha firmato il patto sulla mobilità alla Cop26, perché non condivideva l’idea della “ineluttabilità dell’auto elettrica come unica soluzione tecnologicamente compatibile con l’ambiente”. Giorgetti, come membro dell’esecutivo, è un “convinto sostenitore della neutralità tecnologica” e rivendica “il diritto dell’industria e della scienza italiana di vedere riconosciuti i biocarburanti come fonte compatibile con l’ambiente a livello europeo”. Per il futuro, dovremmo quindi immaginare “un percorso con tante strade, non destinato solo a chi può permettersi l’auto elettrica”.

Orlando

Alle parole di Giorgetti ha fatto seguito il Ministro del Lavoro, Andrea Orlando, che ha ricordato come «la transizione sia ineluttabile e l’elettrico la prospettiva. Sia la transizione sia l’impatto elettrico hanno un impatto che dobbiamo mitigare. È giusto pensare a incentivi alla domanda, ma ha osservato senza nominare Stellantis che “Il principale player è stato fino a poco tempo fa su una posizione di retroguardia sull’elettrico, per questo noi paghiamo un prezzo più alto degli altri”.

In realtà Tavares, A.D. di Stellantis, il 1° marzo 2022 ad Amsterdam – presentando “Dare Forward 2030”, il piano strategico per il prossimo decennio – ha affermato “di star preparando la strada affinché il 100% delle vendite in Europa e il 50% delle vendite negli Stati Uniti siano costituite da veicoli elettrici a batteria (BEV) entro la fine del decennio. Prevediamo di avere più di 75 modelli BEV e di raggiungere vendite annuali globali di BEV di cinque milioni di veicoli entro il 2030”.

 

I nuovi obiettivi di Piano non devono far dimenticare che in un’intervista a gennaio di quest’anno al Corriere della Sera Tavares aveva espresso vari dubbi sulla elettrificazione del comparto auto affermando tra l’altro che “l’elettrificazione è una tecnologia scelta dai politici, non dall’industria». Secondo Orlando dobbiamo aiutare le imprese del settore a riposizionarsi anche perché è enorme la necessità di far crescere intere filiere, pensiamo alle rinnovabili e di aiutare questa trasformazione. Si tratta di un lavoro che non si può fare solo a livello italiano. L’Europa ci chiede di sostenere la transizione ecologica che però ha dei costi. Si tratta di un beneficio per tutto il continente ma che ha un peso maggiore per quei paesi con una forte tradizione manifatturiera. “Il tema quindi è come si mutualizza questo costo a livello europeo – ha aggiunto- “Abbiamo avanzato in sede europea insieme alla Spagna, con aperture da parte della presidenza francese, una proposta che va sostenuta politicamente e che mira a trasformare Sure, creato per la pandemia e finanziato con i bond, in un fondo che sostenga i Paesi nella transizione per ripartire la sperequazione del peso a danno dei Paesi con una maggiore tradizione nel manifatturiero”. Infine Orlando si è soffermato sull’intervento del governo sul lavoro (programma GOL – Garanzia per l’Occupabilità dei Lavoratori – per le politiche attive e riforma degli ammortizzatori sociali).

Sindacato

“Per i lavoratori dell’automotive nei prossimi giorni ci saranno ulteriori problemi: da un nostro monitoraggio emerge che si fermeranno molte aziende della filiera a causa della guerra” – è l’analisi di Michele De Palma, segretario nazionale Fiom. «Serve un’industria di sistema. È necessario – ha osservato il sindacalista – un patto per il lavoro e il clima, per mettere insieme le competenze. Il tema è come si governa la transizione industriale ed ecologica. E non è un caso che i cinesi investono nell’elettrico del lusso nella Motor Valley in Emilia-Romagna. Chiediamo un accordo nazionale – ha concluso – che preveda strumenti come la cassa integrazione straordinaria per la transizione, gli investimenti nella formazione e rigenerazione delle competenze, e gli incentivi all’acquisto sulla base del reddito. L’elettrico è la direzione verso cui possiamo provare a riconvertire il nostro sistema industriale dell’auto».

Confindustria

“Confindustria, insieme alle associazioni di settore, ha presentato al ministro Giorgetti un piano organico con un pacchetto di misure dedicato e con orizzonte pluriennale, articolato in tre capitoli principali: ricerca e innovazione; investimenti; formazione”, ha detto Marchesini, Vice Presidente di Confindustria. In particolare , il Vice Presidente ha affrontato il tema della dismissione del motore endotermico: “se si rifiuta il motore endotermico allora si elimina la possibilità, per esempio, di alimentare le auto con biocarburanti. Senza contare che esistono motori tradizionali con emissioni bassissime. Credo che concentrarsi solo sulla data del phase out (2035) sia riduttivo, così come considerare erroneamente l’auto elettrica come unica soluzione per ridurre le emissioni”.

  1. Le aree di intervento da definire

Venendo alle cose da fare ricordiamo che prima della fine del mese di marzo occorrerà definire il provvedimento attuativo (DPCM dedicato) del DL 17/2022 in cui verranno chiariti i dettagli sulla ripartizione delle risorse tra supporto all’industria e incentivi all’acquisto (e a loro volta tra le diverse classi emissive delle auto). Al momento si pensa, di:

  1. Confermare uno schema molto vicino all’ecobonus degli anni scorsi. L’agevolazione dovrebbe essere quindi rivolta a chi acquista o prende in locazione finanziaria un’autovettura nuova con diversi livelli di incentivo in base alle emissioni di CO2 e alla presenza o meno di un veicolo da rottamare. Il parco veicoli italiano è vecchio e inquinante: il 12% delle auto e il 39% dei veicoli commerciali sono Euro 0.
  2. dar vita con i Politecnici (in primis Torino e Milano) a centri di ricerca sulle batterie elettriche, sull’idrogeno e sui motori endotermici – capaci di usare carburanti sintetici o ricavati dalle piante.
  3. sviluppare con paesi non asiatici (Canada, Argentina, Serbia, Paesi africani non ancora in mano ai cinesi) una catena di rifornimento di litio, cobalto e altre materie prime raffinate per batterie elettriche.
  4. riconvertire una parte delle imprese italiane (quindi migliaia di lavoratori e di tecnici) allo smaltimento e alla rimessa in funzione dei miliardi di celle elettriche che saranno prodotte in futuro.
  5. utilizzare una parte dei fondi pubblici per creare imprese “made in Italy” più grandi e robuste, dando risorse alla Sace e alla Simest affinché finanzino imprese italiane in grado di fondersi, di allargare i loro stabilimenti in Italia o di acquisire aziende estere sul modello delle multinazionali tascabili.

 

  1. Conclusione

Riepiloghiamo ora i principali messaggi dell’Agorà. Innanzitutto tutti gli intervenuti hanno concordato sul cambiamento di scenario dovuto all’invasione russa dell’Ucraina. Misiani ha fatto due esempi:

  1. Il primo è legato alla crisi dei microchip: la riorganizzazione della filiera è diventata urgentissima, a maggior ragione se – come affermano molti analisti – quanto sta avvenendo in Ucraina è la prova generale di una possibile invasione cinese di Taiwan (che produce il 70% dei semiconduttori).
  2. Sulla elettrificazione: una serie di fattori (disponibilità di materie prime, produzione di batterie, disponibilità di energia elettrica) vanno letti anche in chiave geopolitica. Ormai siamo di fronte a una sorta di bipolarismo fra Occidente (USA e UE) e Asia (Cina e Giappone) con un netto vantaggio asiatico per volumi, materie prime e strategia. C’è invece un vuoto di politica industriale non solo del nostro Paese ma anche dell’Europa.

La transizione ecologica per l’automotive come abbiamo visto non sarà facile né per l’industria che rischia di perdere fino a un quarto degli occupati entro il 2030 né per i cittadini, soprattutto quelli a basso reddito, che non potranno permettersi di acquistare le auto elettriche che sono più costose. Tra i temi emersi nella discussione citiamo infine:

  1. Se il punto da tenere fermo è la transizione verso l’azzeramento delle emissioni di CO2 è importante mantenere un approccio pragmatico e aperto sulle tecnologie con cui arrivarci.
  2. Lo stanziamento del fondo pluriennale ex DL 17/2022 è importante (8,7 miliardi fino al 2030). Deve essere accompagnato da un Patto con le parti sociali e una strategia condivisa (il Patto sociale per il clima dell’Emilia Romagna è un modello). Gli incentivi alla domanda servono ma occorre investire molto anche sull’offerta, sostenendo il sistema industriale dell’automotive su tre versanti: 1. Ricerca e sviluppo; 2. Formazione; 3. Accompagnamento della riconversione delle imprese. Non possiamo limitarci a gestire l’esaurimento del tradizionale perché rischiamo un impatto industriale disastroso.
  3. Il futuro occupazionale dell’automotive sarà la più importante cartina di tornasole dell’efficacia degli strumenti messi in campo dal governo in questi mesi, dalla riforma degli ammortizzatori sociali al programma di politiche attive GOL (Garanzia per l’Occupabilità dei Lavoratori).

 

Infine un richiamo alle forze progressiste. La transizione ecologica e le necessità di riconversione dell’automotive potrebbero essere una buona occasione per:

  1. Mantenere/sviluppare rapporti con i ceti (professional, manager, università) e le loro rappresentanze che sono maggiormente strutturati/e per far fronte alle sfide in termini di innovazione e alle difficoltà poste dalla riconversione della filiera.
  2. Arricchire , sviluppare i contatti con le persone e le loro rappresentanze che all’interno delle aziende saranno seriamente impattate dalla transizione  e cioè gli operai esecutivi e i quadri intermedi che senza adeguata mobilitazione culturale e politica potrebbero essere avversi al cambiamento o che si potrebbero sentire minacciati di declassamento.

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