Ho letto con interesse il contributo di Domenico Pulitanò dal titolo “Quali politiche penali in Italia oggi?”. Condivido le sue preoccupazioni per un uso esteso della sanzione penale nelle società democratiche, in special modo in Italia dove tempi processuali inaccettabilmente lunghi e un sistema detentivo/sanzionatorio che è ben lungi dal garantire alla pena la funzione rieducativa prevista dalla Costituzione, mettono in seria discussione il ricorso a misure repressive per intervenire su comportamenti sociali deviati.
Non mi trovo, invece, d’accordo sulle riflessioni svolte a proposito del ddl Zan. Come l’autore osserva, la proposta non mira all’introduzione di una nuova fattispecie criminale, ma si propone di allargare parzialmente la tutela penale ad altre forme di discriminazione rispetto a quelle religiose, razziali o etniche già penalmente rilevanti.
L’articolo 604 bis del codice penale dal titolo “Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa”, stabilisce che “È vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”. Il ddl si limita ad aggiungere in coda “oppure fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità”.
Non conosco l’intervento di Fiandaca che viene citato, ma la frase riportata “l’uso della legge penale quale strumento di promozione e affermazione di nuovi diritti, specie quando la loro fonte scaturisce da ideologie e concezioni morali non da tutti condivise” sicuramente non si addice al caso del ddl Zan.
Infatti, il diritto a non essere discriminati sulla base del sesso e di condizioni personali e sociali riconosciuto dall’art. 3 della Costituzione non può certo dirsi nuovo e basato su ideologie o concezioni morali non condivise!
Ora, si potrebbe discutere sull’opportunità di sanzionare penalmente chi in forma organizzata inciti alla discriminazione o alla violenza nei confronti di donne, omosessuali, transessuali o disabili. I reati di opinione rappresentano un limite alla libertà di espressione ed è frequente che i regimi autoritari utilizzino questo tipo di reati per eliminare le opposizioni. Tuttavia, non mi sembra che sia in atto un dibattito sul ricorso alla sanzione penale per punire chi inciti in forma organizzata o di gruppo alla discriminazione religiosa o di razza. Se accettiamo l’uso dello strumento penale a tutela delle vittime di odio religioso o razziale cosa impedisce di estendere questa forma di tutela alle vittime di discriminazioni sessuali e di genere? La Costituzione non stabilisce una gerarchia sui motivi di discriminazione dalla stessa vietati.
Ho chiesto ad un mio laureando cattolico integralista perché accetti la tutela penale delle discriminazioni religiose, ma non di quelle su base sessuale. La sua risposta è stata che quella norma penale è stata introdotta per proteggere gli ebrei dopo che erano stati sterminati. Ho osservato che anche gli omossessuali sono stati sterminati nei campi di concentramento.
Peraltro, l’esempio dell’allenatore mi sembra che dimostri la debolezza dell’argomento proposto.
L’allenatore non ha avuto, e non avrebbe con l’approvazione della legge Zan, alcuna conseguenza penale dalle frasi sessiste e omofobe, che dovevano essere particolarmente forti se persino i tifosi di calcio, adusi alla violenza verbale, se ne siano risentiti. Peraltro, il rifiuto manifestato dai tifosi dovrebbe essere considerato come esercizio di una pari libertà di esprimere un giudizio negativo sulla scelta di un allenatore dichiaratamente omofobo. L’ostentata avversione verso donne e omossessuali, invero, incide anche sulla professionalità di chi deve guidare una squadra di calcio. Infatti, non solo un allenatore omofobo con ogni probabilità escluderebbe buoni giocatori se omosessuali, ma anche quando non lo facesse tenderebbe a discriminarli o umiliarli incidendo negativamente sullo spirito di gruppo della squadra.
A me sembra che molti oppositori del ddl Zan siano preoccupati più che della sanzione penale, del cambiamento culturale. Temono che sanzionare l’incitamento all’odio possa portare all’ostracismo nei confronti di chi rivendica pubblicamente l’inferiorità biologica e sociale di donne, omosessuali, transessuali e disabili rispetto al modello di essere umano rappresentato dal maschio bianco eterosessuale.
Purtroppo, questo ddl nasce non da un capriccio ma da ricorrenti episodi di bullismo e discriminazione che in soggetti fragili portano anche al suicidio. È vero questa aggravante non cambierà molto, ma proprio per questo perché non concederla se potenzialmente potrebbe contribuire ad un cambiamento culturale?
Anche il più recente dibattito di cancellare l’identità di genere dalla proposta di legge rappresenta un passo indietro incomprensibile. La categoria più fragile e indifesa e più soggetta a vessazioni verrebbe esclusa dalla tutela per la credenza popolare che la dissociazione tra il genere fisico e l’identità percepita sia un capriccio. Le persone che si trovano in questa condizione soffrono un travaglio psichico profondo e l’accettazione sociale le aiuterebbe a uscire da condizioni spesso di degrado e sfruttamento che il rifiuto sociale comporta.
Bene ha fatto il segretario del PD Letta a non cedere su questo punto. Ciò che continua a distinguere la destra dalla sinistra è, a mio avviso, difendere i più deboli, gli sfruttati, gli ultimi. Continuare a negare gli stessi diritti e le stesse tutele ad intere categorie sociali è molto pericoloso perché mina alla base il principio di uguaglianza. L’offerta di partiti omofobi e xenofobi è talmente ampia che non ha nessun senso inseguire i loro elettori.
Un ultimo commento sullo scritto di Pulitanò mi sento di farlo sulla questione del politically correct e della cancel culture. Il primo termine per me resta di difficile inquadramento e mi sembra che venga spesso evocato da chi rivendica la libertà di insultare chi non la pensa come lui (normalmente lo fanno gli uomini) o chi ritiene inferiore. Mi viene sempre in mente il Berlusconi che della Bindi diceva che era più bella che intelligente. La stessa circostanza che si usi più frequentemente la definizione inglese, dimostra quanto sia estraneo alla nostra cultura il concetto di politicamente corretto. D’altra parte in un Paese dove il capo politico del partito di maggioranza ha potuto insultare la presunta vittima di uno stupro di gruppo a cui avrebbe partecipato il figlio senza che questo abbia avuto alcuna conseguenza sul suo ruolo, qualcuno può onestamente sostenere che la cultura del politically correct esista in Italia?
Il discorso sulla cancel culture mi sembra più interessante. La cancel culture nasce come reazione ad una narrazione storica che omette di dare giusta rilevanza a fatti che sono realmente accaduti e ad episodi che sono la causa principale di condizioni svantaggiate di gruppi sociali o di intere nazioni. In paesi come gli USA, l’Australia o molti Stati europei dal passato colonialista prevale una narrazione storica che omette o dimentica lo sterminio di popolazioni indigene, il loro sfruttamento e la sottrazione di terre e risorse naturali. La tesi che la storia non si possa riscrivere evidenzia un atteggiamento conservatore. Come sappiamo molti eventi sono stati ristudiati e gli storici negli anni hanno spesso offerto prospettive nuove e diverse da quelle che abbiamo letto nei libri di scuola. Suggerisco un romanzo molto bello sulla schiavitù negli USA che aiuta a comprenderne l’orrore e che aiuta a spiegare il radicalismo di molti movimenti contro le discriminazioni razziali e da ultimo del black lives matter: La ferrovia sotterranea (The Underground Railroad) dello scrittore americano Colson Whitehead.
Peraltro anche il nostro Paese non è esente da una storiografia che ha spesso cancellato le vittime. La morte dello storico Angelo del Boca ci ha fatto ricordare quanto il colonialismo italiano sia stato brutale. Purtroppo, del mito degli italiani brava gente è ancora intrisa la cultura di destra e di parte della sinistra del nostro Paese. Abbattere le statue non è una risposta, ma non possiamo nemmeno negare che alla base di una società sana ci sia l’onesta intellettuale di riconoscere alle vittime e ai loro discendenti il male che hanno subito e individuare le responsabilità di chi ha partecipato a quelli che in qualunque epoca storica sono considerati crimini.
Libertà Eguale
Associazione di Cultura Politica