Di Roberto Sarfatti
L’attenzione attuale a sinistra pare tutta incentrata sul sacrosanto sdegno dei comportamenti salviniani o sulla manichea ricerca degli errori renziani o, per alcuni, anche di altre parti della sinistra che va ben oltre la considerazione che una vittoria degli avversari è, per definizione, anche una parziale responsabilità dei perdenti.
E’ un’attenzione che non contrasta ma alimenta la devastante crescita della ‘sfiducia nella politica’, che costituisce il più profondo e minaccioso terreno di coltura di ogni tensione e che si presenta oggi con forme assai diversificate.
Quasi tradizionalmente la sfiducia nella politica si accompagnava alla affermazione che l’assoluta libertà dell’imprenditore e la dinamica del mercato tendenzialmente risolvono ogni squilibrio meglio dell’intervento consapevole attraverso la politica.
C’è moltissimo di tutto ciò nelle posizioni dei partiti governanti e nella loro furia ‘abolizionistica’ di tutte le ‘riforme’.
Più ancora delle scelte politiche è la stessa politica che viene identificata come il nemico: le affermazioni che la politica ha ‘massacrato i cittadini e le imprese’ e che l’Europa ha massacrato le nazioni portano a sostenere non soltanto un cambiamento della politica ma anche la demolizione delle strutture politiche.
Il sovranismo pare addirittura amplificare e rendere assoluto il dogma per il quale l’esasperazione degli interessi particolari è il motore del bene.
Lo stesso dogma pare ispirare l’indirizzo per il quale i cittadini non devono ‘organizzarsi’ e pertanto trovare mediazioni, ma esprimersi nelle forme consentite dal web o in ‘movimenti’.
Non sarebbe male se si cogliesse quanto nelle posizioni dei partiti al governo vi sia di esasperazione neoliberistica: distruttivamente conservatrice.
Chi si accanisce nella denuncia di liberismo verso chi riconosce la realtà dei mercati e i loro meccanismi, che sono tutti, in realtà, ‘regolamentati’, potrebbe ben esprimersi meglio verso chi gabella l’esasperazione del particolarismo, a livello di singoli o di stati.
La questione peraltro non è il conservatorismo o il liberismo dei partiti al governo: è che l’antipolitica di cui si alimentano li porta verso approdi reazionari essenzialmente sul terreno della qualità dell’organizzazione civile.
La questione non è se la democrazia sia o no irreversibile: non ci vuol molto per raggiungere la conclusione che è reversibile e uno dei motivi per la riforma istituzionale era appunto di definire assetti che potessero meglio tutelarla garantendo il fatto che governi chi ha un voto in più ma anche mantenendo il sistema parlamentare.
Peraltro, nell’idea di democrazia che ciascuno di noi sente come propria. identifichiamo un insieme di mediazioni sociali e culturali e di bilanciamento di poteri e non un totale spoil system che comporti la rimozione non soltanto di tutte le strutture di governo (con un corposo ‘passaggio di consegne e poteri’) ma perfino l’annullamento dell’insieme dei poteri che non siano quelli del governo.
Sotto attacco pare oggi non il diritto di voto quanto piuttosto ciò che sentiamo come elementi costitutivi della civiltà democratica.
La prepotenza salviniana che impedisce a una nave della marina italiana di sbarcare è in questo senso ben più rilevante come violazione del rispetto di convivenze istituzionali che come cinica gestione delle sofferenze individuali: più rilevante non in termini improponibili di graduatoria ma in quelli di effetti sociali potenziali a medio lungo termine.
Questa faccia della medaglia non pare messa in adeguata evidenza né dalla stessa incriminazione, che forse non poteva farlo, né da polemiche riconducibili al dualismo buonismo vs tutela nazionale e a un uso improprio di richiami ‘antifascisti’.
Una miscela di interventi della magistratura, di petizioni sdegnate e di manifestazioni di sensibilità sulla condizione dei migranti può certamente presentarsi come opposizione ma non pare avere alcuna possibilità di costruire una reale alternativa e cioè quell’insieme di attese ‘positive’ e di credibilità che è alla base di un indirizzo di governo condiviso.
Aggiungendo che sin che la parte più sensibile della società italiana si dedicherà soltanto al volontariato significherà che la sfiducia nella politica, cioè la versione debole dell’antipolitica, è ancora la componente maggioritaria degli atteggiamenti personali.
L’insieme di componenti solidaristiche, valoriali e di cultura democratica che costituiscono un cemento essenziale di ogni alternativa rimangono comunque ancora una condizione non sufficiente senza una forte ripresa dell’attenzione agli aspetti economici.
Gli aspetti economici sono decisivi anche senza sopravvalutazioni del carattere economico dei comportamenti umani: sono decisivi perché, soprattutto in questa fase, sono quelli in cui la realtà è destinata a far sentire la sua voce più che in ogni altra questione: senza attese messianiche di spread a livello berlusconiano o illusioni sulla ‘saggezza’ dei mercati, ma anche con la puntigliosa attenzione alle implicazioni delle scelte.
Tra i paradossi politici attuali vi è infatti anche la contraddizione tra il criticismo sistematico e l’ottimismo apologetico di fondo di chi pensa che ci si possa permettere quasi tutto (la versione iniziale del reddito di cittadinanza) contando sul fatto che il sistema italiano sarebbe in grado di reggere, purché non ostacolato dalla politica, e questo assioma è alimentato dal miglioramento delle condizioni economiche generali ottenute negli anni passati.
Peraltro senza un recupero di indirizzi che partono dalla diagnosi della forza e della debolezza di questo Paese e della forza e della debolezza dell’Europa e riescono a ridare il senso di una politica che le gestisce pare del tutto improbabile che si possa costruire una reale alternativa.