PAPAVERI E PAPERONI: è possibile un capitalismo al servizio dell’umanità invece che un’umanità al servizio di pochi capitalisti?

di Francesco Franceschini

OGGI

Dall’ultima edizione del rapporto OXFAM (1) sulla distribuzione della ricchezza emerge un dato incontrovertibile: la ricchezza mondiale si sta sempre di più concentrando da cinque anni a questa parte. La ricchezza mondiale, oggi stimata superare i 300.000 miliardi di $, è grossomodo quadruplicata dal 1996! La maggior parte dei cittadini, tuttavia, è lontana dal percepire che la propria ricchezza sia quattro volte superiore a quella detenuta 20 anni fa!

Mentre la forbice fra la ricchezza della metà più povera del pianeta e degli 80 uomini più ricchi si era divaricata dall’inizio del 2000 al 2011, negli ultimi anni si è chiusa nuovamente, e dal 2013 gli 80 Paperoni superano in ricchezza la metà povera del pianeta. Nel 2016 addirittura 8 soli super Paperoni detengono una quantità di ricchezza che ammonta a circa 400 miliardi di $, e che eguaglia quella dei 3 miliardi e mezzo di individui più sfortunati; il che rivela un’accelerazione della concentrazione della ricchezza impressionante!

Ancora, nel 2016 l’1% della popolazione mondiale più ricca, detiene altrettanta ricchezza del restante 99%! Non tutti costoro sono dei “paperoni” nel senso di coloro che potrebbero vivere di rendita per diverse generazioni: parliamo di 50 milioni di individui adulti, fra cui ormai una ventina di milioni sono i milionari in dollari, numero che cresce al ritmo del 6% annuo. La crescita del numero dei “ricchi” è comunque più rapida della crescita dell’economia, comunque la si consideri.

In pratica, stando alle pur discutibili fonti di statistiche “storiche”, è dall’inizio del ‘900 che non si registra nel mondo tale concentrazione di risorse: da quando cioè, dopo un calo presumibilmente generato dalla rivoluzione francese e dalle istanze liberali e socialiste ad essa seguite, la concentrazione di ricchezza prese a risalire con la ricostituzione dei capitali derivati dall’industrializzazione ottocentesca, per toccare il suo picco nella Bella Epoque, con il colonialismo. Il trentennio di guerre mondiali successivo ha avuto il “merito” di distruggere grandi patrimoni, e dunque di far ripartire l’umanità da una condizione più “flat”, alla quale però è seguita la progressiva ri-concentrazione (2), fino ad arrivare all’inizio del XXI secolo, dove una moderata diminuzione della concentrazione della ricchezza si era osservata in concomitanza con la crescita delle economie in via di sviluppo.

Gli ultimi dati tuttavia sembrerebbero indicare che anche la spinta alla distribuzione della ricchezza che, sia pure con molte contraddizioni, si era manifestata per qualche anno con la globalizzazione, e grazie alla quale, dobbiamo riconoscere, si sono strappati alla carenza alimentare quasi un miliardo di esseri umani (6), stia esaurendo il suo corso.

Le cause della ripresa della concentrazione “post globalizzazione” sembrano essere molteplici: dal rallentamento del prezzo del petrolio e delle materie prime, che ha colpito molti paesi in via di sviluppo, ai rally borsistici americani, che invece hanno premiato i paperoni. Ma soprattutto dobbiamo ciò al rallentamento della globalizzazione stessa, che vede i giganti dei BRIC, Cina, Russia e Brasile crescere meno che in passato, e che registra le prime tangibili reazioni presso le classi medie e popolari dei paesi occidentali.  Reazioni che hanno già provocato in alcuni casi il fenomeno del cosiddetto “in-sourcing” (ovvero rimpatrio di attività produttive prima delocalizzate nei paesi in via di sviluppo) e la minaccia di dazi commerciali, come anche le recenti sortite di Trump stanno dimostrando.

 

D’altronde, se nel primo decennio di questo secolo la globalizzazione ha rappresentato una distribuzione di ricchezza dai paesi ricchi ai paesi poveri, all’interno dei cosiddetti paesi ricchi, specificatamente l’Europa occidentale, gli Stati Uniti e il Giappone, a contribuire a tale redistribuzione non sono stati certo i Paperoni, bensì le classi medie e medio basse.

La ormai famosissima curva dell’elefante di Lakner-Milanovic, sotto riprodotta, ben illustra il fenomeno. Fasce di famiglie di medio reddito in questi paesi, che nel contesto globale risultano medio-alte, non hanno visto aumentare, ed addirittura hanno visto diminuire, il loro reddito reale dal 1988! Con trend egualmente piatto o negativo vi è un’ampia fascia di popolazione povera cosiddetta “marginale”, che non ha goduto dei vantaggi della globalizzazione; negli stessi paesi in via di sviluppo zone urbane e ben connesse ai flussi economici internazionali hanno aumentato il loro benessere, mentre zone decentrate e/o rurali sono state penalizzate: a titolo di esempio consideriamo le province cinesi vincenti, come Shanghai, Pechino o il Guangdong, verso quelle più arretrate, e che non hanno per nulla beneficiato della globalizzazione, come lo Yunnan, lo Xinjiang o il Tibet (6). Buona parte dell’Africa Sub-sahariana non ne è stata beneficiata, e questo costituisce uno dei motivi della esplosione demografica e della spinta alla migrazione delle popolazioni in quella zona.

Questa curva include anche l’aumento dei poveri negli stessi paesi “ex ricchi”, spesso accompagnato da fenomeni migratori fuori controllo, come succede, per esempio, nel sud Europa, Italia in prima fila.

Ciò è un’ulteriore conferma che la globalizzazione ha avuto come motore primario la ricerca di manodopera a basso costo da parte delle multinazionali occidentali, e la competizione fra salari ne ha depresso il livello nei paesi ricchi ed ha alimentato in questi paesi una disoccupazione strutturale più alta che negli ultimi decenni del secolo precedente.

Perciò, componendo i dati, se si considera la eccessiva concentrazione della ricchezza, il riflusso dei paesi emergenti, le classi medie e basse occidentali che registrano un trend di reddito ultrapiatto quando non calante, e di conseguenza un’erosione del loro patrimonio, si intravede una situazione potenzialmente parecchio critica! La domanda che sorge spontanea è dunque: quali tendenze emergeranno nel prossimo futuro?

DOMANI

La concentrazione di ricchezza, in mancanza di interventi degli stati, nei prossimi anni è destinata ad aumentare per i seguenti motivi:

-Come dimostra T. Piketty (2), il tasso di rendimento del capitale è risultato negli ultimi anni sempre maggiore del tasso di crescita dell’economia mondiale (r>g), e non accenna a diminuire in trend: questo naturalmente sarà causa di ulteriore concentrazione di ricchezza a favore di coloro che la ricchezza già ce l’hanno.

-La tassazione delle ricchezze ereditate è diminuita in buona parte del globo; questo, accompagnato alla diminuzione della natalità, è evidentemente causa di concentrazione. Emblematico è il caso dell’ultima classifica di Forbes, che evidenzia come l’uomo più ricco in Italia sia in realtà una donna, la poco conosciuta al largo pubblico Maria Franca Fissolo (e famiglia), ovvero la vedova del re della nutella, Michele Ferrero. La Fissolo, che è notificata di una ricchezza di 22 miliardi di dollari, 4 volte superiore a quella di Silvio Berlusconi e famiglia, è la 30-esima persona più ricca del globo. Analogamente il più ricco di Francia, per diverse edizioni di Forbes, è stata un’altra donna, Liliane Bettencourt, l’erede L’Oreal, a riprova che la componente ereditaria, in particolare in Europa, giochi una parte significativa nella costituzione dei capitali dei Paperoni.

-Le popolazioni più povere dell’Africa e di alcune zone dell’Asia sono più prolifiche di quelle ricche dei paesi occidentali. Questo per ignoranza, per inciviltà, per ideologia religiosa: l’effetto è che le popolazioni povere aumentano più velocemente di quelle ricche, con impatto diretto sulla concentrazione della ricchezza.

-I Paperoni di lunga data, poi, avendo perso la capacità di ben curare i propri affari, anche perché molti di loro hanno ereditato la ricchezza posseduta, ingaggiano dei super manager e super professionisti che gestiscono le loro aziende, le loro finanze, le loro istanze legali. Sono questi i Papaveri, che guadagnano moltissimo, in quanto indispensabili ai Paperoni. Essi gestiscono i restanti lavoratori a loro dipendenti, cercando di pagarli il meno possibile, per arricchire ancor più i Paperoni e loro stessi, e in pochi anni si trasformano in altri Paperoni. Un Ceo di un’azienda multinazionale in USA guadagna, inclusi bonus e stock option, in media quanto 200 dipendenti dallo stipendio “base” della stessa sua azienda. Negli anni ’50 del ‘900 l’equivalente guadagnava quanto 20 dipendenti: questa tendenza sembra rafforzarsi di anno in anno.

-L’indebolimento delle cosiddette classi lavoratrici è evidente: incapacità di negoziare aumenti di salario, leggi meno garantiste ovunque, minor welfare le rendono più fragili agli attacchi dei ricchi, sempre meglio organizzati: e soprattutto con “mind set “globale, capaci di muoversi disinvoltamente da un paese all’altro della terra a seconda di dove conviene loro, mentre i “lavoratori tartassati”, abbandonando i tradizionali partiti di sinistra e i sindacati che non sono stati in grado di difendere i loro interessi, si chiudono miseramente nei loro confini, si barricano in casa erigendo muri, fomentati da nuovi capi popolo, che guarda caso fanno parte della classe dei Papaveri e dei Paperoni: questo non farà altro che far perdere loro ulteriore potere contrattuale.

-Gli stati che, supposti “democratici”, in linea di principio dovrebbero fare gli interessi della maggioranza della popolazione, e quindi dovrebbero promuovere una maggior distribuzione del reddito e della ricchezza, non sono in grado di agire in tal direzione. In primis perché Papaveri e Paperoni fanno di tutto per impedirlo. Azioni lobbistiche e corruttive impediscono molto frequentemente di addivenire a leggi loro sfavorevoli. Ma forse ancor più frequentemente, i governanti non osano prendere iniziative che li scontentino, nel timore che essi cambino paese e portino con sé capitali ed investimenti, con grande detrimento per il paese che li ha vessati.

La maggior parte degli stati è inoltre molto indebitata e il loro debito è in buona parte in mano appunto ai Paperoni del proprio o di altri paesi. Guai quindi ad adombrare aumenti di spesa, o spese per welfare, mettendo a rischio la possibilità di restituire il debito: immediatamente cresce il costo del debito stesso per il paese che criminalmente volesse sostenere il benessere dei propri cittadini!

-Nella maggior parte del globo, le imposte sui Paperoni non solo non sono  progressive, ma risultano addirittura “regressive” (il contrario di progressivo: oltre certi limiti di ricchezza i Paperoni pagano meno tasse in percentuale delle classi medio/basse): le imposte sui redditi da capitale sono spesso inferiori a quelle dei redditi da lavoro, come in Italia; molti Paperoni eleggono come dimora fiscale paesi che attuano un’imposizione fiscale inferiore rispetto a quella in cui sono nati o, peggio, in cui hanno sviluppato la maggior parte della loro ricchezza; l’elusione fiscale, e il fiorire dei paradisi fiscali, che solo i Papaveri e i Paperoni sanno maneggiare con sufficiente destrezza per evitare di cadere nelle maglie del fisco dei paesi di origine, costituiscono un fenomeno più “pervasivo” di quanto immaginassimo, come ha recentemente dimostrato la vicenda dei Panama Papers.

-L’ enorme massa di liquidità cumulatasi negli ultimi anni nelle casse delle grandi multinazionali ha ridato fiato al massivo ricorso a Merge & Acquisition, aumentando la concentrazione nel sistema economico capitalista. Questo favorisce non solo la crescita di potere di mercato e in definitiva politico, delle grandi corporation, ma anche la concentrazione di ricchezza in mano a pochi individui (3). Nelle grandi corporation infatti uno dei modi per aumentare efficienza e profitti è quello di allargare il cosiddetto “span of control”: grazie anche alle tecnologie digitali che permettono di far avere in modo efficiente l’informazione ai decisori aziendali, si concentra il potere in pochissime mani, al centro della corporation. Di conseguenza si licenziano quadri intermedi e dirigenti di primo livello: aumentano così il numero di persone pagate in maniera “basic” che riportano ad un unico direttore, cosa che evidentemente concentra le retribuzioni, nonché aumenta dividendi, stock option e di conseguenza concentra la ricchezza.

– I flussi della globalizzazione, che hanno visto centinaia di milioni di posti di lavoro creati nei paesi in via di sviluppo per produrre merce per le economie avanzate, rallentano, come sopra evidenziato: nascono in contrapposizione nuovi competitor nel mondo del lavoro, i robot! Robotica, automazione dei processi informativi, disintermediazione che arriva dal web, sono tutte innovazioni che teoricamente potrebbero aumentare il benessere dell’umanità. Così come è successo per la globalizzazione tuttavia, senza interventi regolatori le nuove tecnologie tenderanno ad aumentare i profitti dei pochi possessori dei nuovi mezzi di produzione digitalizzati e saranno una minaccia per milioni di impiegati ed operai che rischieranno di perdere il lavoro. E questa volta, se ciò avvenisse, diversamente da ciò che è successo con la globalizzazione,  l’impoverimento di certuni non andrà a strappare dalla povertà altri esseri umani!

Il recente rapporto della PwC (Pricewaterhouse), società di consulenza internazionale non certo da definirsi “di sinistra”, titolato “Consumer Spending prospects and the impact of automation on jobs (Uk Economic Outlook) “ (5) quantifica nel 30% la diminuzione dell’occupazione nei settori impattati da tali innovazioni in Inghilterra nel 2030. Analoga situazione è stata misurata per US e Germania, dove tali valori si attestano attorno al 35-40%, e ad opinione degli analisti di PwC, ben difficilmente tali lavoratori disoccupati, per altro di livello culturale presumibilmente inferiore alla media, potranno essere ri-occupati in nuove iniziative economiche legate ai servizi alla persona, alla cultura, al benessere o quant’altro! Iniziative atte a creare nuovi posti di lavoro sono auspicabili, ma queste avranno come effetto, presumibilmente, solo di creare un numero di job decisamente inferiore di quanti andati perduti, e comunque impiegheranno individui diversi da quelli che avranno perso il lavoro per via della automazione.

In altre parole, e’ vero che nel XIX e XX secolo l’industrializzazione ha avuto l’effetto di diminuire dapprima gli occupati in agricoltura per aumentare quelli nell’industria, e poi ha diminuito quelli dell’industria per aumentare quelli che operavano nei servizi: ma quando gli operatori nei servizi, soprattutto quelli amministrativi, informativi, commerciali, saranno decimati dalle innovazioni sopra accennate, quali nuovi settori potrebbero svilupparsi? E soprattutto, con che velocità? E chi finanzierà per lo sviluppo di questi nuovi settori che dovrebbero assorbire la maggior parte degli aspiranti ad avere un lavoro? David Hume diceva: non possiamo sapere se domani sorgerà ancora il sole, mettendo in dubbio la logica induttiva che il futuro sarà sempre deducibile da quanto è successo in passato. A maggior ragione, il fatto che in passato modernizzazioni della tecnologia non abbiano inciso sull’occupazione, non ci garantisce per nulla che ciò non succederà prossimamente. Teniamo conto per altro che l’umanità nell’ ultimo secolo ha dovuto superare pesanti gap di diffusione di oggetti di utilità di massa (auto, lavatrice, televisione, grocery,…) e che vi è stata la necessità di ricostruire buona parte del pianeta dopo le due guerre mondiali, cose entrambe che hanno alimentato occupazione; inoltre non possiamo dimenticare che la prima legge sull’orario di lavoro venne emanata nel 1874 in Massachusetts e fissava la settimana lavorativa per le donne a 60 ore.  L’orario di lavoro si è poi ridotto attorno alle 50 ore settimanali all’ inizio del ‘900 sia in Europa che in USA, per discendere alle 40 ore per tutti di fine secolo.

Non è perciò per niente garantito che il surplus di disoccupati prossimo venturo possa essere riassorbito senza colpo ferire, senza eventi traumatici e lasciando inalterato l’attuale orario di lavoro.

Per concludere, sembra che i dati stiano falsificando l’ipotesi di Simon Kuznets (la sua curva  è sotto riprodotta), dove egli ipotizzava che in un sistema capitalistico libero, con l’aumento del reddito pro capite , dopo un picco di concentrazione, il reddito si redistribuisce “naturalmente”; tale andamento è stato probabilmente vero nel corso della crescita economica elevata quando si sviluppava l’economia dei beni di massa, ma con una crescita minore, come quella che si è affermata dal 2008 in poi, essa non pare sia confermata. E’ più ragionevole invece prevedere che con l’aumento della ricchezza nei prossimi anni aumenteranno significativamente le diseguaglianze, a meno di interventi regolatori degli stati.

 

LA CONCENTRAZIONE DI RICCHEZZA E’ UN FATTORE POSITIVO O NEGATIVO PER L’ECONOMIA?

Appare evidente che la concentrazione eccessiva della ricchezza sia ingiusta, specie a fronte della permanenza di ampie sacche di povertà nel pianeta, o a fronte della decrescita del tenore di vita di ceti in passato facenti parte della classe media e che rischiano di avvicinarsi alle soglie della povertà. Se un’economia cresce, tuttavia, può esservi un aumento della concentrazione della ricchezza a fronte di un aumentato benessere per tutti; se invece l’economia registra una crescita scarsa, o addirittura nulla, a fronte di una concentrazione di redditi e di ricchezza vi è una perdita di posizione dei ceti deboli, e quindi la generazione di nuova povertà.

Inoltre una maggior concentrazione di ricchezza conduce a una maggior concentrazione del potere, visto l’enorme influenza che il danaro ha sui comportamenti delle leadership, sia quella dei sistemi economici che di quelli politici. Nel sistema capitalistico attuale stiamo assistendo a stati “democratici” che hanno essenzialmente il compito di gestire i crescenti debiti pubblici, che ammontano a più di 60.000 miliardi di $, mentre le immense ricchezze private, stimate superare i 300.000 miliardi, sono ben custodite in forzieri gestiti in modo tutt’altro che “democratico”.

Tuttavia vogliamo qui valutare se la concentrazione di ricchezza sia positivamente correlata alla crescita o, viceversa, abbia un effetto recessivo.

Il credo liberale consiste nel fatto che se coloro che più meritano la ricchezza la ottengono, essendo dei talenti imprenditoriali, sono i migliori ad individuare le aree dove reinvestirla. La competizione poi rende più efficienti i processi, e più centrati i prodotti ai bisogni dei clienti.

E un mercato più ampio è più efficiente, perciò niente frontiere. Infine tutti gli individui devono avere pari opportunità alla partenza della loro attività lavorativa, di modo che possano emergere i migliori.

Ma data la situazione sopra descritta, come facciamo a dire che Papaveri e Paperoni siano i migliori, dato che le condizioni di partenza dell’umanità non possono proprio essere definite di “pari opportunità”? Più del quaranta per cento dei Paperoni, è costituito da ereditieri, e per quanto descritto sopra tale percentuale è destinata a crescere velocemente. E, qualora almeno i Papaveri fossero i migliori in un certo senso, cosa obbliga loro di sfruttare i macro-trends di globalizzazione ed automazione per sviluppare l’economia invece che per arricchirsi e basta in pochi anni, visto che una volta arricchitisi possono vivere di rendita senza problemi?

E’ noto a tutti gli economisti che la concentrazione di redditi e patrimoni deprime i consumi e non vi è nessuna evidenza empirica, nei dati econometrici dei paesi occidentali, di una correlazione positiva fra concentrazione di ricchezza e crescita economica.

Se un’economia cresce poco, o non cresce, normalmente le aziende, per continuare ad aumentare i loro utili a tassi superiori rispetto alla crescita dell’economia stessa, si concentrano sul taglio dei costi, sull’efficientizzazione dei processi, normalmente riducendo risorse umane e creando più disoccupazione. Questa reazione avviene in misura molto maggiore che quella di provvedere investimenti per il rilancio dell’economia, semplicemente perché è più facile e con esiti più sicuri. Il risultato è che gli operatori economici diventano più efficienti ma la domanda viene depressa, e il ciclo economico negativo viene amplificato, pur in presenza di una ricchezza che aumenta molto per alcuni operatori forti. In fondo, politiche “Keynesiane” anti-cicliche possono essere fatte solo da stati, e solo se questi hanno cumulato abbastanza risorse pubbliche per sostenerle, ovvero hanno preventivamente attuato politiche di contrasto alla concentrazione eccessiva di ricchezza privata.

Osserviamo dunque, in questi ultimi anni,  una pericolosa tendenza degli investitori privati a perseguire profitti a breve contro rendimenti a lungo, ad abbracciare business con ritorni dell’investimento “prevedibile” contro investimenti in R&D con rendimenti a lungo termine ed incerti (empiricamente si può dimostrare che la R&D di molte innovazioni chiave del ‘900 è stata finanziata dallo stato e non dal capitalismo privato (7)); gli investitori privati preferiscono invece  abbracciare investimenti speculativi dove il rischio è calcolato e la probabilità di vincita è maggiore del 50% (scommettendo contro i poveri piccoli risparmiatori, il cosiddetto “parco buoi” delle speculazioni finanziarie, che con meno informazioni e meno strumenti finanziari tendono sistematicamente a perdere posizione nei loro investimenti), e detestano qualsivoglia vincolo, inclusi gli ambientali. Presumibilmente queste forzature ai limiti del capitalismo sono il frutto dell’estrema pressione che sul sistema esercitano i Papaveri, ansiosi di divenire Paperoni.

A controprova i “quantitative easing”, messi a punto dalle banche centrali per arginare le crisi bancarie e per sostenere l’economia in questi ultimi anni, ovvero la possibilità per istituzioni finanziarie, stati e aziende di accedere a prestiti a basso tasso di interesse, hanno generato, per quel che riguarda le aziende, un uso prevalente della liquidità per fare buyback di azioni e per aumentare i dividendi in tempi rapidi, a beneficio delle stock option dei Papaveri, invece che essere investiti per la crescita delle aziende stesse (4).

Inoltre, la concentrazione di ricchezza e di potere di mercato delle grandi corporation e delle istituzioni finanziarie, che come abbiamo visto nel punto precedente è strettamente correlata alla concentrazione delle ricchezze individuali, è sempre stata temuta dai veri liberisti, perché generalmente induce monopoli, o oligopoli che limitano il libero contendere di nuove energie, di nuovi imprenditori. Leggi antitrust esistono nelle economie di mercato, ma la loro efficacia è spesso insufficiente per impedire sia la concentrazione che i suoi effetti negativi: tali leggi sono diverse da paese a paese, quindi perdono di potere su scala globale quando i trust si esprimono proprio su questa dimensione (8)! Vi è inoltre difficoltà ad applicare tali leggi ai mercati finanziari, che spesso sfuggono ai concetti di produzione, di prezzo di un bene, di quota di mercato.. il risultato è il gigantismo delle grandi banche internazionali, l’estrema volatilità dei prezzi dei corsi azionari e dei prezzi delle materie prime, la netta impressione che pochi enormi operatori determinino i corsi dei mercati. La recente (2016) azione dell’antitrust europeo contro Credit Agricole, HSBC, JPMorgan che avevano manipolato l’indice EURIBOR per influenzare prezzi di derivati, segue l’analogo scandalo sul Libor, per fatti che si erano svolti dal 2006 al 2010, e dove UBS, Citygroup, Deutchbank hanno dovuto pagare multe miliardarie nel 2015 presso le corti giudiziarie Inglesi e Americane; tuttavia nessun Papavero, in questo caso, è stato condannato, ma solo un giovane matematico che aveva fisicamente scritto gli algoritmi incriminati. L’ECONOMIST è uscito all’epoca con un titolo ad effetto, BANKSTERS, che dice tutto sui sentimenti che tale evento ha sollevato, anche presso i moderati colletti bianchi della City. Questi eventi tuttavia sembrano essere solo la punta di un isberg di cui non vediamo ancora la piena estensione. L’affermarsi di imprese finanziarie “too big to fail”, così come abbiamo scoperto da Lehman Brothers in poi, con le relative necessità di interventi pubblici per non far collassare il sistema finanziario globale, è una bestemmia secondo qualsivoglia fede liberale! I tentativi di regolamentazione dei mercati finanziari, ad oggi, e nonostante la lezione della “grande Recessione” del 2008 e anni seguenti, non hanno ancora partorito risultati sufficienti, e non sono ancora in grado di proteggerci da future crisi.

Queste distorsioni fanno supporre che le concentrazioni delle ricchezze sia delle aziende che degli individui (concentrazioni gemelle fra loro correlate), non solo sono inique e pericolose socialmente, ma sono anche illiberali e dannose alla crescita e alla sicurezza dell’economia stessa.

Usando un linguaggio caro ai liberisti, le condizioni sono tali per cui si è creata una situazione di abuso di posizione dominante da parte dei Papaveri e dei Paperoni nei confronti del resto dell’umanità.

Come in tutti gli ecosistemi, se l’equilibrio degli animali funziona, l’ecosistema sopravvive grazie alle regole della selezione naturale. Se però l’equilibrio si rompe e si sviluppano fenomeni di gigantismo e di predazione indiscriminata, l’ecosistema collassa.

CHE FARE

Dai dati sopra riportati, e dai fenomeni sia pur grossolanamente sopra analizzati, non sembra che il sistema capitalistico sia in grado di auto-regolarsi senza l’intervento di autorità istituzionali che ne obblighino un riequilibrio. E istituzioni “pubbliche” che possano voler riequilibrare i fenomeni di eccessiva ricchezza possono solo scaturire da espressioni politiche democratiche.

Prima però di proseguire nella disanima di come stati democratici possano adottare delle misure che correggano le storture del capitalismo, e che redistribuiscano ricchezza fra i cittadini, facciamo qualche considerazione sugli apparati statali, così come si presentano nelle economie occidentali dove il capitalismo si è affermato. Spesso questi stati sono estremamente burocratici, e frequentemente i politici e i burocrati che li guidano sono corrotti. Di conseguenza essi sono inefficienti, e quindi falliscono nel teorico obiettivo di correggere i meccanismi fuori controllo del capitalismo. Anzi, un modo che permette ad un certo numero di Papaveri spregiudicati di trasformarsi in Paperoni in questi stati è proprio quello di abbeverarsi alla sorgente del danaro pubblico, di “assaltare la diligenza” della spesa pubblica, di far sì che le istituzioni pubbliche spendano tanto ma eroghino poco, arricchendosi così a spese dei tanti cittadini onesti che pagano fior di tasse! Per questo tipo di Papaveri è evidentemente più facile arricchirsi depredando la “cosa pubblica” che competendo a livello internazionale!

E’ evidente che in questi stati l’obiettivo primario sarà quello di perseguire onestà ed efficienza nelle istituzioni pubbliche, prima di dedicarsi a raddrizzare le storture del capitalismo nel paese: se questo obiettivo primario non viene rispettato, ogni tentativo di correggere il sistema capitalistico fallirà, in quanto facilmente bloccato da Papaveri e Paperoni locali che prosperano su inefficienza e corruzione.

Gli stati hanno principalmente tre modi per redistribuire la ricchezza: l’inflazione, le tasse e la politica economica e del lavoro che possa favorire opportunità di guadagno per coloro che partecipano al mondo del lavoro, ove vi sia la possibilità di parteciparvi se si sceglie di farlo. Passiamo ad esaminare ciascuna di queste modalità e a prefigurare delle azioni possibili.

A-GENERARE INFLAZIONE

L’inflazione è una modalità ambigua, e non necessariamente redistribuisce la ricchezza dai ricchi ai poveri. In realtà l’inflazione redistribuisce la ricchezza dai creditori ai debitori: è stata storicamente il modo più usato dai debitori, alternativo al default, stati nazionali in testa. Tuttavia però, poiché i Paperoni hanno portafogli ben equilibrati, con al loro interno un mix di immobili, titoli azionari, titoli obbligazionari molti dei quali indicizzati all’inflazione, oro, arte eccetera, mentre i piccoli risparmiatori hanno i loro piccoli risparmi essenzialmente espressi in depositi bancari e, in misura minore, in obbligazioni semplici, appare chiaro che l’inflazione risulta essere una sorta di “tassa patrimoniale regressiva”. Essa dunque inciderebbe proporzionalmente più sui piccoli risparmiatori che sui Paperoni: quindi ancora una volta su quella classe media del grafico dell’elefante più penalizzata dalla globalizzazione! E se in un paese ad alta inflazione, inoltre, non venisse celermente costituita una “scala mobile” che aggiorni salari e pensioni con le dinamiche dei prezzi, ad essere selvaggiamente penalizzati sarebbero soprattutto i lavoratori dipendenti e i pensionati, ovvero la gran parte della popolazione!

Dunque, un’uscita dall’euro di un paese finanziariamente debole come l’Italia, per esempio, operazione che certamente farebbe piombare il paese in uno stato di debolezza di cambio con i paesi europei dalla moneta più forte, indurrebbe un’alta quanto subitanea inflazione che sarebbe prevalentemente pagata dalla popolazione di fascia economica medio/bassa, ma non certo dai Papaveri e dai Paperoni nostrani.

Appare dunque chiaro che per ricondurre in equilibrio le dinamiche capitalistiche del sistema economico del XXI secolo gli stati dovrebbero mettere a punto importanti riforme che operino nella direzione di:

B-CAMBIARE IL MIX FISCALE

La leva delle tasse è piuttosto delicata, in quanto, soprattutto in Europa, la pressione fiscale ha raggiunto livelli massimi attorno al 50% del PIL, non più aumentabili, pena la disaffezione dei cittadini al fisco (e il conseguente rischio di evasione fiscale); inoltre un’eccessiva tassazione penalizzerebbe la crescita economica, se si rimane in un sistema capitalistico basato sulla proprietà privata invece che in un sistema socialista prevalentemente basato su asset pubblici. Ciò nondimeno vi è, in linea di principio, ampio spazio, sia pure senza aumentare la pressione fiscale totale, di modificarne il mix, alleggerendo la pressione dell’imposizione fiscale ai produttori di reddito e, in particolare, ai redditi bassi, per aumentarla ai detentori di grandi patrimoni: in altre parole vi è spazio per aumentare la progressività fiscale anche in funzione della ricchezza (e non solo del reddito). Questa operazione però, andando a colpire una fascia di popolazione preparata, agguerrita e influente, per avere una sia pur minima probabilità di successo dovrebbe essere condotta in modo equo; nel contempo gli stati dovrebbero profondere uno sforzo importante per rendere più “efficiente” possibile l’uso del 50% del prelievo esistente, sia rendendo efficiente l’erogazione di servizi pubblici, che combattendo la corruzione come accennato sopra; sia attuando politiche di trasferimento mirate (evitando cioè di trasferire risorse economiche a chi non ne ha bisogno). Inoltre dovrebbero poter impedire evasioni significative.

Le misure che potrebbero essere prese si collocano nelle aree di:

-Introdurre un’imposta, sia pur modesta, sulla ricchezza, possibilmente permanente e progressiva, per permettere una graduale diminuzione della sua concentrazione. La proposta della Capital Tax di Picketty (2), dallo 0,1 al 3  % all’anno, a seconda dell’ammontare della ricchezza stessa, potrebbe essere il parametro da cui partire per disegnarla.

-Introdurre tangibili tasse di successione per la componente di eredità superiore, per esempio,  a un milione di euro, per impedire una deriva medioevale dove al feudalesimo delle contee, marchesati, principati si sostituisca quello dei patrimoni finanziari giganteschi e non più contendibili per l’eternità. Anche in questo caso, una tassa progressiva, che potrebbe variare dall’1% al 25% per le componenti di eredità che superano i 5 milioni di euro, avrebbe l’effetto, nell’arco di un secolo, di redistribuire buona parte delle alte concentrazioni di ricchezza.

-Limitare, tassandole in misura superiore alle tasse sul reddito, le pratiche di stock option, o comunque i premi proporzionali ai guadagni del cliente per chi gestisce istituzioni e patrimoni finanziari.

-Introdurre un ulteriore scaglione di tassazione ai redditi molto alti, diciamo del 60/70% per quanto guadagnato sopra i 500.000 euro l’anno, per esempio, al fine di limitare le avidità eccessive dei Papaveri che vogliono trasformarsi in Paperoni.

e-Introdurre la Tobin Tax sulle transazioni finanziarie per limitarne il potenziale speculativo.

-Tali tassazioni dovrebbero permettere agli stati di allocare più risorse ad investimenti strategici di lungo termine, come R&D, Infrastrutture, sistemi di sicurezza del paese mentre la ricerca di una maggior efficienza nella spesa pubblica e nel contrasto all’evasione dovrebbe finanziare sgravi fiscali alle aziende che sostengano l’occupazione, investano in innovazione, attuino programmi di partecipazione dei lavoratori alle decisioni aziendali e alla distribuzione degli utili aziendali.

C- DIFENDERE I DIRITTI DI CHI LAVORA E DI CHI VORREBBE LAVORARE

La leva del lavoro dovrebbe essere la più importante. E’ importante sia offrire a nuovi imprenditori la possibilità di competere e di creare nuove aziende, combattendo tendenze monopoliste e protezioniste di tutti i generi che si possano frapporre al loro lecito intraprendere , che garantire a lavoratori dipendenti diritti e livelli di salario che sono stati una conquista del mondo occidentale nel ‘900 e non si vede perché debbano essere tolti nel secolo successivo, quando grazie alla tecnologia la ricchezza del pianeta stà aumentando. Naturalmente, dati i cambiamenti indotti appunto da tecnologia e nuova organizzazione del lavoro tali diritti dovranno essere declinati in modo nuovo rispetto al ‘900, ma non scomparire!

Le misure che potrebbero essere prese sono nelle aree di:

-Attuare norme di liberalizzazione dei settori e rinforzare gli antitrust con leggi apposite più efficaci, possibilmente estese al settore finanziario, con pene più severe ai trasgressori e con più risorse per il controllo.

-Definire un salario minimo per legge per impedire che vi siano attività lavorative sotto pagate.

-Promuovere la partecipazione al lavoro di tutti i cittadini, con politiche attive e provvedere un ammortizzatore adeguato di lungo periodo in caso di disoccupazione. Un assegno di disoccupazione, vincolato alla ricerca del lavoro e a una condizione reddituale e patrimoniale inferiore a certi parametri, che possa durare anche un tempo indefinito, sarebbe di gran lunga preferibile ad un reddito di cittadinanza erogato a chiunque e indipendente dalla partecipazione al mondo del lavoro (dove si intende partecipante al mondo del lavoro chi il lavoro lo possiede o lo cerca iscrivendosi alle liste di collocamento).

-In considerazione dell’automazione galoppante, valutare la possibilità di ridurre l’orario di lavoro, fermo alle 40 ore settimanali da più di mezzo secolo, per esempio a 32 ore, ovvero 4 giorni lavorativi settimanali di 8 ore, a parità di retribuzione. Questo fra l’altro potrebbe permettere di aumentare i consumi poiché i lavoratori avrebbero più tempo libero per gli acquisti, oppure, per esempio, potrebbe permettere di utilizzare il giorno libero da impegni lavorativi per seguire un percorso formativo di riconversione professionale, se necessario.

D- MIGLIORARE LA QUALITA’ DELLA VITA PUBBLICA

Anche il miglioramento della qualità di vita pubblica è una forma di redistribuzione di ricchezza, in quanto i beni pubblici sono godibili da tutti. In tal direzione sono auspicabili politiche per:

-Difendere l’ambiente con leggi severe e con tassazioni specifiche a chi inquina più della media

-Mettere a punto programmi efficaci per il contrasto alla povertà.

-Mettere in sicurezza il territorio, sia dal punto di vista idro-geologico e sismico, che dal punto di vista della lotta alla criniminalità.

-Introdurre misure di benessere dei cittadini che vadano al di là del PIL, che contengano indicatori di distribuzione della ricchezza, qualità dei servizi, condizioni dell’ambiente, ecc. e che siano punto di riferimento per valutare le performance dei governi.

Queste, che con uno sguardo dall’alto sembrerebbero iniziative che i cittadini dei paesi ricchi potrebbero tranquillamente permettersi, e per altro assolutamente ragionevoli ed auspicabili, per nulla in contrasto con la vocazione liberale di molti di noi, quando calate nelle pratiche politiche quotidiane si trasformano in istanze pericolosamente sovversive, in cose che neanche lontanamente potremmo permetterci, che potrebbero distruggere le nostre economie: perché?

La risposta non è difficile: tali misure sono impossibili da attuare in un singolo paese, e in particolare in Italia, per via delle prevedibili reazioni di Papaveri e Paperoni, che difenderanno con le unghie e con i denti i loro (enormi) privilegi! E per via del ricatto che questi pongono in atto nei confronti degli stati, minacciando di fatto di trasferire sé stessi e/o i propri capitali in altri lidi a loro più favorevoli.

Questo è il motivo vero per cui quasi tutti i governi dei paesi democratici non riescono a condurre politiche nell’interesse del 99% della popolazione. Non tanto perché i politici in questione siano dei Papaveri sotto falso nome asserviti ai Paperoni, ma perché, anche qualora facciano onestamente il loro mestiere, si trovano nell’alternativa del diavolo: chiedere sacrifici ai propri cittadini per remunerare gli investitori o compiacere loro facendo fuggire i capitali e provocare così il collasso dell’economia? Alcuni stati poi si sono posizionati per accogliere a braccia aperte Papaveri e Paperoni, trasformando così il tradimento di una causa comune con le altre nazioni in egoistico motore di arricchimento del proprio paese, e questo, badiamo bene, anche all’interno della stessa comunità economica europea!

La concorrenza fra stati, il nazionalismo mai sopito, la libera circolazione dei capitali e la facilità di ottenere cittadinanze per i ricchi, sono gli elementi che di fatto favoriscono, quando esercitati congiuntamente, le dinamiche di concentrazione della ricchezza sopra descritte, disinnescandone le possibili contro-misure. E’ paradossale come i cittadini del pianeta, delusi dalle politiche socialiste e riformiste, offuscati nella comprensione di ciò che stà succedendo, cerchino riparo in un rinato nazionalismo, chiudendo le frontiere, confliggendo con gli stati vicini, facendo il gioco di chi può permettersi di saltare agevolmente ogni ostacolo per continuare a perseguire i propri interessi.

5-MULTILATERALISMO O ISOLAZIONISMO?

La via dovrebbe invece essere quella di ricucire con pazienza gli accordi fra gli stati democratici che onestamente vogliano perseguire l’obiettivo di fare l’interesse del 99% della popolazione, cercando di realizzare politiche comuni che vadano nelle direzioni sopraindicate. Tali stati dovrebbero fare fra loro un “patto indissolubile” per evitare concorrenze improprie, di tipo fiscale, di legislazione del lavoro, di salvaguardia dell’ambiente.

E’ in tale direzione che si muovono alcune delle più illuminate proposte degli economisti contemporanei per affrontare i problemi sopra esposti, già citate nelle nostre proposte di “correzione” del sistema: la Tobin Tax, ovvero una tassa mondiale sulle transazioni finanziarie proposta dal premio Nobel James Tobin nel lontano 1972; la Capital Tax di Piketty, una sorta di tassa progressiva anch’essa globale, sui patrimoni di tutto il mondo, che avrebbe in primis almeno il merito di creare una sorta di “registro delle ricchezze” internazionale, che prevederebbe, fra l’altro, la raccolta di informazioni dalle banche e dalle istituzioni finanziarie del globo, contribuendo alla trasparenza del fenomeno della migrazione di capitali.

Tali proposte sono piuttosto “ideali”, lo ammettono gli stessi economisti che le hanno formulate, in quanto è ben evidente la difficoltà di mettere attorno ad un tavolo su temi di questo genere la maggior parte dei paesi del mondo. Tuttavia hanno il merito di avviare il dibattito sul tema.

La più recente tendenza ad una sorta di “neonazionalismo”, tuttavia, non conduce certo verso questa direzione. Brexit in UK, Trump in US, il consolidamento di semi-dittature nella Russia di Putin e nella Turchia di Erdogan, movimenti neo-nazionalisti che guadagnano terreno in altri paesi europei, come il Front National in Francia o la Lega Nord in Italia, rischiano di condurre l’umanità verso una nuova condizione che impedisce di trarre i benefici dal multilateralismo e dalla cooperazione internazionale, aumentando fra l’atro il rischio di conflitti fra nazioni.

E’ evidente che per Papaveri e Paperoni i benefici che sono derivati loro dalla globalizzazione si stanno esaurendo, e che la prossima frontiera di arricchimento sarà quella dell’automazione dei processi sopra descritta. La globalizzazione allora diverrà per loro solo un rischio, il rischio che gli stati cooperino per far pagare loro le tasse, per difendere l’ambiente, per distribuire ricchezza ai più poveri. Meglio allora un rigurgito nazionalista, che condanni i poveri dei paesi poveri a rimanere poveri, che difenda l’opacità delle transazioni finanziarie, che ricrei delle isole felici dove le loro ricchezze possano stazionare indisturbate!

E per ottenere questo è necessario sventolare davanti agli occhi di una povera umanità impaurita lo spauracchio dei migranti che vengono nei nostri paesi a rubare i nostri posti di lavoro, a creare insicurezza e terrorismo, nascondendo così le vere ragioni delle difficoltà economiche che ci affliggono! In fondo, il fomentare guerre fra poveri è sempre stata una tattica dei Papaveri e dei Paperoni di tutte le epoche, per evitare che i poveri stessi si rivolgessero loro per chiedere il conto!

Marx ed Engels terminano il loro “Manifesto del Partito Comunista” con la celeberrima esortazione : “Proletari di tutti i Paesi, unitevi!”, nella profonda consapevolezza che solo una unione che superasse le concorrenze nazionali fra lavoratori poteva portare il proletariato alla vittoria.

Pur in condizioni completamente diverse anche oggi il 99% della popolazione che detiene ricchezze inferiori all’uno % dei più ricchi, ma che in linea di principio dovrebbe poter prevalere nelle espressioni democratiche dei propri paesi, qualora democrazia esistesse, dovrebbe ricercare un’unione transnazionale per far valere i propri diritti e per far prevalere le istanze di tutta l’umanità sui privilegi di pochi.

L’obiettivo di una nuova sinistra liberale e democratica europea dovrebbe essere quello di combattere il neo-nazionalismo e di proseguire sulla via di compattare se non tutta l’Unione Europea attuale, un nucleo importante di paesi che potrebbero condividere il percorso sopra descritto, ovvero perseguire un’unione fiscale e delle leggi sul lavoro e sull’ambiente, e che abbia anche l’intento di riformare le dinamiche della redistribuzione della ricchezza. In cambio ai comportamenti cooperativi attuati dagli stati che intraprendano tale percorso, vi dovrebbe essere la pratica del libero mercato e della libera circolazione dei capitali in tutta questa nuova grande area politico-economica. Contemporaneamente però, questo insieme di paesi, dovrebbe mettere

a punto un controllo più evoluto della fuoriuscita dei capitali sviluppatisi all’interno dell’area stessa. E in particolare si dovrebbero combattere i movimenti di capitali nella direzione dei paesi che praticano una concorrenza fiscale sleale, dei cosiddetti paradisi fiscali, arrivando ad infliggere sanzioni economiche nei loro confronti; sanzioni che se fatte da gruppi di paesi importanti possono essere tangibili e scoraggiare i fenomeni sopra descritti.

Tale nuova Unione Europea potrebbe poi adoperarsi a dialogare profittevolmente con gli Stati Uniti (una volta sconfitto Trump dalle forze democratiche di quel paese) nella direzione del FATCA (Foreign Account Tax Compliance Act), l’accordo fra stati varato da Obama per controllare la presenza di capitali americani sparsi per il mondo, provando ad adottare una misura analoga per i capitali europei. L’informazione è il prerequisito per poter governare il fenomeno, senza lasciarlo in balia ad un malinteso liberismo, selvaggio e poco trasparente.

Per concludere, questa mia nota vorrebbe sostenere che non è vero che nel mondo contemporaneo non abbiano più senso posizioni politiche di destra o di sinistra. Semplificando, è vero, ma sostenuti dall’evidenza, possiamo tranquillamente dire che è di sinistra difendere gli interessi del 99% della popolazione mondiale ed è di destra sostenere gli interessi di Papaveri e di Paperoni! E una posizione politica di sinistra deve necessariamente affrontare i temi della distribuzione della ricchezza, del diritto ad un lavoro retribuito adeguatamente, dell’ambiente e del benessere sociale.

Tuttavia, una posizione politica di sinistra è per definizione perdente quando giocata a livello di un singolo stato, ed ha senso di essere solo su dimensioni almeno continentali, nel nostro caso Europee. Questo, in prima istanza, potrebbe essere l’ideale traguardo di una rinnovata sinistra liberal democratica Europea, che miri ad una unione di paesi che vada nella direzione di creare le opportunità per nuove generazioni di imprenditori di sviluppare la loro vocazione senza trasformarsi in Papaveri o Paperoni. Per attuare una grande area dove i cittadini tornino a contare, e dove esperimentare un nuovo capitalismo che meglio risponda all’ interesse di tutti.

 

BIBLIOGRAFIA

 

  • OXFAM, an Economy for the 99%, 2017, oxfam.org
  • THOMAS PIKETTY, Il Capitale nel XXI secolo, trad. Bompiani 2014

(3) JHON PLENDER, La verità sul capitalismo, trad. Boringhieri, 2016

(4) CEDRIC DURAND, Rimedi tossici alla crisi finanziaria, Le Monde Diplomatique, feb. 2017

(5) PwC, UK ECONOMIC OUTLOOK, March 2017, pwc.co.uk

(6) Frank Tetart, Il mondo nel 2017 in 200 mappe, ed.Leg, 2016

(7) MARIANNA MAZZUCCATO, LO STATO INNOVATORE, Laterza 2014

(8) J.Kopf, C.Vehorn, J.Carnevale, Emerging Oligopolies in Global Markets: was Marx ahead of his time? Journal of Management Policy and Practice, vol 14(3), 201

2 Comments
  1. giuliano zingone 27 luglio 2018 Reply
    • LibertàEguale 11 settembre 2018 Reply

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