Articolo di Marco Boato, in ricordo di Luigi Covatta, ad un anno dalla scomparsa.
Luigi Covatta – per tutti gli amici, più familiarmente “Gigi” – è morto improvvisamente domenica 18 aprile 2021. Un grande dolore, una grande perdita. Non solo per la purtroppo frammentata famiglia socialista, che lo ha riconosciuto come un punto di riferimento culturale e come un intellettuale di grande valore, soprattutto per aver rivitalizzato dal 2009 in modo eccezionale la rivista “Mondoperaio”, a suo tempo fondata da Pietro Nenni. Ma anche per il suo ruolo essenziale, insieme a Gennaro Acquaviva, nella “Fondazione Socialismo”. E inoltre per la sua figura di vice-presidente dell’associazione “Libertà Eguale”.
Ma Luigi Covatta viene anche ricordato e rimpianto da quanti hanno intrecciato la loro vita e la loro storia con lui da anni molto più lontani, fin dalle origini del suo impegno politico e intellettuale. Anche a queste “origini” si riferisce la mia testimonianza di amicizia e di gratitudine, pur avendo seguito percorsi in parte diversi, ma sempre con spirito di dialogo, di confronto e di collaborazione.
Per quanto mi riguarda, essendo quasi coetanei (lui del 1943, io del 1944), il nostro rapporto era iniziato molto prima della sua scelta “socialista”. Mi riferisco al suo e nostro ruolo, dalla metà degli anni ’60 del secolo scorso, all’interno dell’associazione di politica universitaria “Intesa”, che, nell’ambito dell’UNURI di allora presieduta da Nuccio Fava (il “parlamentino” nazionale degli studenti universitari), aveva dato vita alla prima esperienza di un centro-sinistra in coalizione con tutta la sinistra dell’UGI, e quindi allargata anche ai giovani comunisti (con Claudio Petruccioli), in difformità da come questa formula politica aveva cominciato a realizzarsi sul piano politico-parlamentare nazionale, dove vigeva ancora la “conventio ad excludendum” rispetto al Pci di allora.
E lo stesso Nuccio Fava – in un convegno rievocativo dell’Intesa universitaria, che si tenne il 9 e 10 febbraio 2007 a Gabicce Mare – ricordò che, secondo quanto gli avevano riferito dal Vaticano, quella esperienza anticipatrice “aveva fatto piangere Paolo VI”. Il Convegno si intitolava: “L’Intesa Universitaria 1947-1968. Il luogo e l’esperienza dell’impegno culturale e politico dei cattolici nelle istituzioni della democrazia universitaria tra passato e presente. Quarant’anni dopo i protagonisti si incontrano e si interrogano” (esiste la registrazione nel sito di Radio radicale).
Sotto il profilo storico, nell’ambito del mondo cattolico fin dal 1947 si era costituita l’Intesa Universitaria, che in una prima fase aveva espresso l’impegno politico universitario diretto (da qui la denominazione “Intesa”) delle varie associazioni di ispirazione cristiana e anche democratico-cristiana. In una fase successiva (dopo i primi anni ’60 del secolo scorso) l’Intesa aveva acquisito una propria maggiore autonomia rispetto al retroterra associativo cattolico. Infatti, quando nel 1964 venne realizzata la Giunta dell’UNURI da parte dell’Intesa anche con la presenza dei comunisti, una forte critica espressa dalla FUCI di allora (il ramo universitario dell’Azione cattolica) non riuscì a far desistere l’Intesa da questa esperienza politica.
Per citare solo alcuni nomi, più o meno noti, nei vari periodi storici dell’Intesa fecero parte ad esempio: Gianni Faustini, Siro Brondoni, Guido Bodrato, Pier Vincenzo Porcacchia, Nuccio Fava, Ugo Trivellato, Ignazio Musu, Marino Cortese, Luciano Benadusi, Roberto Zaccaria, Giampaolo Bonani, Gianfranco Astori, Ugo De Siervo, Mario Napoli, Silvano Bassetti e appunto Luigi Covatta.
Dal 25 al 28 novembre 1965, si tenne a Trieste l’VIII Congresso nazionale dell’Intesa. Succedendo a Ugo Trivellato che a sua volta era succeduto allo stesso Nuccio Fava, Luigi Covatta venne eletto in quella occasione a grande maggioranza segretario nazionale di quell’associazione, che comprendeva comunque allora quasi tutti i “cattolici democratici” attivi politicamente nell’Università (molti, ma non tutti, anche democratico-cristiani). “Quasi tutti”, perché, per citare un caso tragico rimasto nella storia di quegli anni, quando il 27 aprile 1966 venne ucciso dai fascisti all’Università di Roma il giovane studente socialista Paolo Rossi, questi risultò essere iscritto all’UGI, ma essere contemporaneamente anche uno scout cattolico iscritto all’AGESCI.
A Luigi Covatta accadde quindi di dirigere questa associazione di politica universitaria proprio negli anni e nella temperie tumultuosa in cui stavano germinando negli atenei quei semi di contestazione – dalla lotta contro il cosiddetto “Piano Gui” (il disegno di legge n. 2314 di riforma universitaria) alle prime manifestazioni contro la guerra americana nel Vietnam – che poi avrebbero dato vita al movimento del ’68, il quale segnò anche la fine di tutte quelle associazioni presenti nell’Università, fino allo scioglimento finale (anche sul piano giuridico-formale) dell’UNURI nel dicembre 1968, sotto la guida di Mario Napoli.
Nel IX e ultimo Congresso nazionale dell’Intesa, dal 21 al 23 dicembre del 1967, che si tenne a Bologna (con la presenza anche di un giovane diciottenne, “osservatore” comunista, di nome Massimo D’Alema), a Covatta succedette come segretario Silvano Bassetti (purtroppo morto poi prematuramente nel 2008), che, pur amico di Covatta, era significativamente al tempo stesso, insieme a Stefano Levi Della Torre, uno dei leader della contestazione nella facoltà di Architettura al Politecnico di Milano. Questa storia pre-’68 della politica universitaria, ormai pochissimo conosciuta e quasi sempre “rimossa” nella memoria storica, l’ho ricostruita nel capitolo “Dalla «rappresentanza universitaria» al Movimento studentesco” del mio libro “Il lungo ’68 in Italia e nel mondo” (ELS La Scuola-Morcelliana, Brescia, 2018), pubblicato non casualmente nel cinquantenario del ’68.
Mi sono dilungato su questo aspetto originario dell’impegno del giovane Covatta, perché dopo la sua morte – quando si sono susseguite le commosse rievocazioni della sua figura umana e del suo itinerario politico-culturale – non è stato ricordato quasi da nessuno, forse anche per motivi di ricambio generazionale o comunque perché precedente al suo poi assai lungo impegno socialista.
Dopo questa esperienza universitaria, l’impegno del cattolico-democratico Luigi Covatta è continuato dapprima all’interno delle ACLI (che lo hanno ricordato puntualmente), presiedute allora da Livio Labor e poi da Emilio Gabaglio. E, con Livio Labor, Covatta ebbe una lunga e forte collaborazione anche nella formazione dell’associazione ACPOL, aperta “trasversalmente” ad altre componenti politiche e culturali nell’ambito del centro-sinistra, e nella redazione del periodico “Alternativa”. In previsione delle elezioni politiche “ordinarie”, che avrebbero dovuto svolgersi nel 1973, dall’ACPOL ebbe origine una nuova formazione, direttamente politica ed elettorale, il MPL (Movimento politico dei lavoratori).
Purtroppo, per la prima volta nella storia della Repubblica, dopo la contrastata elezione del presidente Giovanni Leone nel dicembre 1971, il Parlamento venne sciolto anticipatamente. Il MPL dovette affrontare quelle elezioni senza adeguata preparazione e radicamento territoriale, e quindi la sconfitta fu cocente (appena 120.000 voti, senza il conseguimento di almeno un quorum necessario). Del resto, nelle stesse elezioni anticipate del 1972, furono sconfitte anche le liste de “il Manifesto” (con Valpreda candidato, e con un risultato di circa 200.000 voti) e persino quelle dello PSIUP, che pure era già rappresentato in Parlamento (circa 600.000 voti, ma senza il raggiungimento di almeno un quoziente elettorale): complessivamente, quasi un milione di voti di queste tre diverse formazioni di sinistra andarono persi.
Le tappe successive dell’impegno politico e culturale di Luigi Covatta – insieme a Livio Labor e a Gennaro Acquaviva – sono state invece, nei giorni “post mortem”, adeguatamente ricordate. La confluenza (suggerita anche da Pierre Carniti della CISL) nel PSI, con la scelta iniziale della corrente di Riccardo Lombardi, il quale non a caso aveva già fatto parte dell’associazione ACPOL. Ma successivamente Covatta ha avuto rapporti diretti anche col segretario Bettino Craxi (pur non essendo mai stato un “craxiano” di stretta osservanza) e soprattutto col vice-segretario del PSI Claudio Martelli, che, dopo la sua morte, ha rievocato puntualmente la loro collaborazione, sia nel congresso di Torino sulla “alternativa socialista” del 1978 (insieme anche a Giuliano Amato, che ha reso la sua testimonianza di amicizia al funerale di Covatta lunedì 19 aprile 2021 a Roma), sia alla conferenza programmatica del 1982 a Rimini, con la famosa relazione di Martelli su “i meriti e i bisogni”.
Dopo il suo ritiro dalla politica attiva, a seguito della crisi e scomparsa del Psi storico, Luigi Covatta si è dedicato anche alla riflessione culturale ed alla ricostruzione storica. Nel 2005 ha pubblicato, con l’editrice Marsilio, il libro “Menscevichi”, con l’eloquente sottotitolo “I riformisti nella storia dell’Italia repubblicana”, e la prefazione di Luciano Cafagna: un libro di grande valore, anche se forse non adeguatamente conosciuto e valorizzato. In precedenza aveva pubblicato “La legislatura spezzata” nel 1998, e successivamente, nel 2006, “Diario della Repubblica” e, nel 2007, “La legge di Tocqueville. Come nacque e come morì la riforma della prima Repubblica italiana”.
Personalmente, avevo avuto con lui in precedenza una comune esperienza parlamentare, sia nella VIII legislatura alla Camera dei deputati (1979-1983), lui socialista e io eletto come indipendente con i radicali, sia nella X legislatura (1987-1992), entrambi al Senato. Ma ci ritrovammo insieme anche nella XI legislatura (1992-1994), lui senatore socialista e io deputato dei Verdi, nella Commissione parlamentare per le riforme istituzionali, cosiddetta “De Mita-Iotti”, dal nome dei due presidenti che si succedettero, di cui lui fu anche vice-presidente.
Sul suo principale merito – di aver rilanciato, dal 2009 fino al giorno della sua morte, la rivista mensile “Mondoperaio” – molti hanno detto e scritto: per la sua capacità di direzione, per la sua massima apertura politica e culturale, per la sua volontà di coinvolgere una miriade di saggisti ed anche di promuovere il ricambio generazionale, valorizzando nuove energie giovanili. A questa bella e ricca rivista, su sua ripetuta richiesta, avevo avuto la soddisfazione di poter collaborare, riallacciando ancora una volta un rapporto di dialogo che si era dipanato, alla fine, nell’arco di 55 anni. Per me e per molti, è stato un enorme dolore la sua morte improvvisa, sarebbe giusto dire “sul campo di battaglia” (culturale e intellettuale, oltre che politico), rendendo onore alla sua memoria.