Di Francesco Franceschini.
Intervento svolto agli Incontri Riformisti a Eupilio.
Se definiamo PMI (definizione UE del 2015) le imprese con meno di 250 addetti e meno di 50 milioni di euro di fatturato, in Italia queste costituiscono più del 90% delle imprese e contribuiscono al 64% del fatturato e al 72% dell’occupazione del settore. Non è così in altre importanti economie europee, in quanto le PMI valgono il 47% degli occupati nelle imprese private in Francia, il 44% in UK, il 37% in Germania. Tale tessuto di piccole medie aziende è dunque una realtà particolarmente importante in Italia, ed è concentrato nel centro e soprattutto nel Nord del paese.
Ha calcolato l’OCSE che l’impatto ambientale industriale delle PMI è in Italia l’80% del settore (dal 60% al 70% in Europa). E’ perciò evidente che il successo dei piani di trasformazione dell’economia verso la sostenibilità debba necessariamente veder coinvolte le PMI, e questo è particolarmente vero in Italia e ancor più evidente nel Nord Italia.
Sebbene vi sia una ragionevole consapevolezza negli imprenditori e negli amministratori delegati delle PMI riguardo ai temi della sostenibilità ambientale, tant’è che dall’osservatorio della banca IFIS, il Market Watch PMI, risulta che, prima di Cop 26 con la relativa comunicazione, il 67% di costoro dichiara l’ importanza di essere sostenibili ( 82% nella chimica e 75% nella meccanica), il 74% di essi ritiene di sentire la responsabilità nei confronti del territorio/comunità in cui l’azienda opera; tuttavia solo il 38% delle PMI ha dichiarato di star sostenendo degli investimenti in tale direzione e solo il 6% stà riprogettando la produzione coi metodi dell’economia circolare (percentuale un po’ più alta (8%) nel tessile abbigliamento).
Gli investimenti sono stati principalmente nelle aree di:
1-Risparmio energetico
2-Ciclo dei rifiuti
3-Riduzione degli inquinanti
4-Uso di materiali riciclabili e risorse rinnovabili
Pur senza necessariamente investire formalmente, il 69% delle PMI ha avviato almeno due iniziative “green”.
Le motivazioni che hanno indotto le PMI a intraprendere tali iniziative sono state:
a-Tutela del territorio e delle comunità locali (45%)
b-Benessere dei lavoratori dell’azienda (33%)
c-Risparmio risorse (27%)
d-Incremento della competitività dell’impresa (25%)
Dunque le motivazioni di eventuali iniziative nella direzione della sostenibilità fanno riferimento sia ad istanze etiche che alla ricerca di vantaggi aziendali.
Ancora, il 49% di esse presta attenzione alla filiera, ricercando prioritariamente di servirsi da fornitori “sostenibili”, e l’88% riconosce i vantaggi della sostenibilità in termini soprattutto di reputazione sul mercato e sul territorio in cui operano, nonché di soddisfazione del personale.
Il problema è che la maggior parte delle PMI ha difficoltà a “mettere a terra” le iniziative di sostenibilità. Il 66% di esse denuncia difficoltà di realizzazione, dovute principalmente all’aumento dei costi (44%) e alla carenza di competenze del proprio personale in materia di sostenibilità (23%).
La difficoltà della economia circolare, per esempio, sta nel dover intraprendere un percorso di sostanziale “re-engineering” dei processi produttivi e dei prodotti che ne derivano, e questo richiede know how di alto livello che la maggior parte delle PMI non ha al suo interno (lo ha riconosciuto il 62% delle aziende intervistate).
Vi è però intenzione ad investire in sostenibilità nel prossimo futuro: il 9% si dice sicuro che lo farà, il 59% lo ritiene probabile.
Che politiche si possono attuare per incoraggiare le PMI italiane agli investimenti in sostenibilità, grazie anche la disponibilità di nuove risorse dal PNRR? Evidentemente bisogna agire sulle dimensioni del finanziamento ma anche dell’iniezione del know how, perché altrimenti il primo rischia di essere infruttifero. Soluzioni, che in parte si sono sperimentate anche in passato, vanno nelle direzioni di:
A-Favorire l’aggregazione di PMI in distretti industriali sul territorio, ricercando l’integrazione dei loro cicli produttivi, favorire la creazione di infrastrutture (e di scambio di know how sui temi della sostenibilità e di tutela dell’ambiente) infrastrutture utili a molte di esse per ritrovare una certa economia di scala. L’integrazione sul territorio ha anche il pregio di favorire per certe imprese la creazione o il rafforzamento di marchi territoriali, che le aiutino a sostenere i loro prezzi e ad affermarsi sul mercato. Si possono anche creare agenzie del territorio che offrano certificazioni ambientali territoriali ecc.
B-Favorire il credito e/o la defiscalizzazione ad aziende che investano in sostenibilità e ancor più in innovazione ambientale CORRELATA all’innovazione tecnologica. In Italia solo il 15% delle aziende è “High Tech” (e ancor meno fra le PMI) contro il 65% della Germania e il 47% degli USA. Si potrebbe in questa fattispecie, finanziare filiere tecnologiche fra PMI non necessariamente territoriali, ma guidate da progetti comuni nella direzione sperata.
C-Creare momenti di formazione promossi (e finanziati) dallo stato per il personale delle PMI sui temi della sostenibilità e dell’economia circolare per aumentarne l’expertise, formando una agenzia nazionale per la formazione, la consulenza e la certificazione dello sviluppo sostenibile, a cui potranno far riferimento anche le agenzie territoriali sopra menzionate.
Per concludere, anche con altre idee oltre a quelle sopra accennate, è importante favorire la cultura della collaborazione fra aziende profit, la cultura della sussidiarietà fra pubblico e privato, la ricerca di un equilibrio dove il perseguire lo sviluppo sostenibile per le PMI non sia un mero esercizio filantropico, ma anche la ricerca di un vantaggio per il proprio business.