Di Franco Mirabelli, Vicepresidente del Gruppo PD al Senato, Capogruppo PD in Commissione Giustizia del Senato.
Intervento svolto agli Incontri Riformisti a Eupilio (video).
Credo che sia importante fare una riflessione sul rapporto tra PNRR e Giustizia perché il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è una straordinaria opportunità per il nostro Paese; sia per superare un dibattito perennemente astratto e ideologico sulle questioni della Giustizia – e il fatto che siamo dentro ad un Governo di unità nazionale può aiutare in questo senso – ma, soprattutto perché abbiamo bisogno di mettere in campo una Giustizia che funzioni meglio. Questo è un bisogno vitale per il Paese.
Serve una Giustizia più rapida, più giusta e più equa.
Sicuramente il mal funzionamento della Giustizia è uno dei grandi problemi che impedisce al Paese di poter crescere; è una di quelle questioni patologiche che, anche in momenti di crescita, ha sempre un po’ rallentato l’Italia rispetto ad altri Stati.
Su questo il PNRR e, complessivamente, l’Europa, con le condizioni che ha posto per attingere alle risorse, costituisce una grande opportunità.
Sicuramente c’è un tema che riguarda il funzionamento della Giustizia: oggi “la macchina” non funziona, è inefficiente; il personale è insufficiente. Questo determina lungaggini inaccettabili sia sul processo civile che su quello penale ed è inaccettabile.
La riforma di Orlando ha migliorato la situazione sulla riforma della Giustizia civile e sui tempi per i processi civili ma nel Paese funziona tutto ancora a macchia di leopardo: ci sono attese rapide per avere una sentenza in Tribunali come quello di Milano mentre per arrivare allo stesso tipo di sentenza in un Tribunale del Centro-Sud ci sono attese decennali.
È, quindi, necessario rafforzare l’organizzazione della Giustizia e il PNRR può fare molto su questo aspetto, mettendo in campo investimenti significativi.
Stiamo assumendo 150mila persone che andranno a lavorare negli Uffici del Processo, che è uno “strumento” che affiancherà i magistrati per smaltire tutto ciò che si può delegare ad altri, in modo che i giudici possano dedicarsi a scrivere le sentenze.
Verranno assunte 30mila persone con diverse professionalità che si devono occupare dell’organizzazione dei tribunali da tutti i punti di vista, compresa la digitalizzazione.
Si sta facendo, quindi, uno sforzo molto significativo in questa direzione.
Da molti anni avevamo registrato lamentazioni sui limiti del personale, che chiunque sostiene essere una questione determinante.
Un secondo grande investimento viene fatto sulla digitalizzazione.
Oggi, gran parte del lavoro di trasmissione dei documenti e parte dei processi, soprattutto nel ramo civile, sono già digitalizzati.
Durante la pandemia abbiamo adottato molte misure volte a far funzionare la giustizia e, quindi, si è puntato molto sulla digitalizzazione.
C’è, però, un tema generale che riguarda il fatto che bisogna attrezzare gli uffici giudiziari e i tribunali dal punto di vista degli strumenti per far funzionare l’amministrazione.
Sempre nel PNRR ci sono altri due stanziamenti di risorse importanti.
Uno stanziamento di risorse significativo viene fatto sul carcere.
Con le risorse del PNRR, infatti, vengono finanziate 8 nuove strutture che andranno a implementare le carceri esistenti ma con una logica diversa da quella che si era fatta avanti negli anni scorsi dell’ampliare le strutture per avere più posti, pensando di dover mettere in carcere più persone. Questa volta, invece, c’è l’idea di sperimentare sulle strutture prescelte per gli investimenti degli spazi che dovranno essere dedicati all’aspetto trattamentale, alla formazione e al lavoro per i detenuti e a scelte e progetti che vanno fatti con l’idea di spostare l’attenzione sulla necessità che il carcere recuperi la funzione riabilitativa che la Costituzione gli attribuisce.
Inoltre, vengono stanziati 300 milioni per il Fondo che deve aiutare i Comuni ad utilizzare i beni confiscati alle mafie.
Quello dei beni confiscati, infatti, è un grande problema.
In Italia ci sono 13mila beni confiscati che sono riutilizzati dai Comuni ma ce ne sono altrettanti che, per tante ragioni, non vengono utilizzati. C’è, quindi, un enorme patrimonio che può essere messo a disposizione del Paese e della coesione sociale e di altre cose ma non viene utilizzato e una delle ragioni per cui ciò si verifica è che spesso questo patrimonio ha bisogno di investimenti per essere adeguato alla mansione che si vuole attribuire ma i Comuni non hanno i soldi per farlo.
Da tempo è stato istituito un Fondo per questo scopo, grazie ad un mio emendamento ad una finanziaria di tre anni fa, ma oggi viene implementato in maniera significativa con il PNRR.
L’Europa, però, ha detto chiaramente che non è sufficiente impiegare le risorse assegnate ma occorrono anche riforme che consentano di rendere più efficiente e giusta la Giustizia.
In questi mesi, dunque, abbiamo fatto due riforme importanti, quella del processo civile e quella del processo penale.
Queste riforme sono state fatte a partire da testi proposti dal Governo, con cui sono state riprese proposte messe in campo dal Governo precedente a quello in carica, che erano già in discussione nelle due Camere.
Sulla base di quelle proposte, la Ministra Cartabia ha messo al lavoro una Commissione di studio e di approfondimento e, a mio avviso, sono stati prodotti due testi finali positivi.
Sicuramente le due riforme non sono risolutive di tutti i problemi ma fanno alcune cose importanti.
La riforma del processo civile, in particolare, compie delle scelte che voglio rivendicare perché sono state costruite sulla base di molte sollecitazioni del PD.
In sintesi, sul processo civile, abbiamo fatto la scelta di puntare sui riti alternativi, come la mediazione, al fine di portare fuori dal processo una parte importante dei contenziosi.
Per fare questo abbiamo ragionato anche su incentivi fiscali per chi sceglie la mediazione o altri riti alternativi.
Un’altra strada è quella di accelerare le decisioni dei magistrati, sia con il supporto dell’Ufficio del Processo, sia definendo i tempi e, soprattutto, chiarendo che la prima sessione processuale non sia inutile, com’è stato spesso e com’è oggi, ma debba già essere preparata e debba già essere in piena fase giudicante.
Oltre a ciò, è stata fatta un’altra operazione che può aiutare a rendere più razionale il percorso e abbiamo dato la delega al Governo per istituire un Tribunale della Famiglia, cioè di far confluire in un unico tribunale diversi riti che riguardano la famiglia e i minori, superando, quindi, il tribunale per i minori e realizzando un altro percorso.
Riguardo alla riforma del processo penale, invece, noi abbiamo insistito molto affinché venissero incentivate le misure alternative al carcere, quindi il patteggiamento, la messa alla prova, le pene risarcitorie.
È stato fatto un ragionamento per cercare di spostare i reati bagatellari o contravvenzionali dal carcere alle pene alternative.
Credo che si siano ottenuti dei risultati importanti. Noi avremmo voluto risultati molto più significativi, anche alzando la soglia per poter aver pene alternative, domiciliari o altro; non ci siamo riusciti ma si è aperto un muro. Siamo passati, cioè, dall’idea del buttare via le chiavi ad un meccanismo che non punta sul carcere come unica soluzione per scontare la pena.
Credo che abbiamo affrontato in maniera intelligente il tema della prescrizione (dal secondo grado, perché nel primo grado non è mai stata messa in discussione), stabilendo tempi certi, altrimenti viene estinto il processo. Questo, ovviamente, ha portato ad escludere da questo ragionamento alcuni reati gravi e quelli di mafia.
Abbiamo fatto anche altre cose che l’Europa ha invitato a fare in questi mesi.
Credo che il recepimento della Direttiva sulla presunzione di innocenza sia stato importante, per come è stato fatto, senza estremizzazione e senza carichi ideologici. Si è messo un punto sui limiti che ci sono rispetto alle conferenze stampa dei Procuratori o delle forze dell’ordine; ci sono dei limiti seri rispetto alla spettacolarizzazione della giustizia e dei diversi procedimenti.
Nei prossimi mesi dovremo fare la riforma dell’ergastolo ostativo.
La Corte Europea e poi anche la Corte Costituzionale impongono, infatti, di ritoccare l’ergastolo ostativo. Oggi, nei reati per mafia, chi ha l’ergastolo non può beneficiare di alcun permesso e di alcun beneficio a meno che non collabori. Su questo si è espressa la Corte Costituzionale in maniera molto chiara. Personalmente, conoscendo singoli casi, credo che sia anche un fatto di civiltà il rimettere in discussione il non poter accedere a benefici ma è evidente che questo non può mettere in discussione la necessità di garantire che i mafiosi non tornino a comandare o a controllare territori approfittando dei benefici concessi. C’è, quindi, bisogno di una legge e credo che la stiamo costruendo con grande equilibrio.
Un’altra questione riguarda la riforma del CSM.
Su questo credo che dovremmo lavorare.
È evidente che la guerra che si è aperta da Mani Pulite ad oggi, la vicenda di Palamara e il modo in cui è stata condotta la guerra mette in grande difficoltà la credibilità della magistratura e, quindi, la credibilità della Giustizia agli occhi dei cittadini.
La riforma del CSM deve togliere tutele alle correnti: non sono per demonizzare nessuno ma bisogna tornare nell’alveo di un organo di autogoverno della magistratura e non di altro. Questo tema sarà decisivo e ancora deve essere focalizzato.
Sul resto si sta andando nella giusta direzione ma subiamo ancora due condizionamenti che dobbiamo provare a superare. Il primo riguarda uno scontro che è tutto politico e ideologico e non è sulla funzionalità della Giustizia.
Da questo punto di vista, credo che i referendum siano dannosi perché rischiano di interrompere il percorso positivo con cui si affrontano i temi concreti e si cerca di risolverli, come un riformista dovrebbe fare, per far prevalere cose che guardano più al passato che non al futuro.
Un’altra questione riguarda il fatto che non riusciamo a superare il vizio che da qualche tempo si è strutturato, per cui ad ogni problema diamo una risposta penale e ad ogni problema cerchiamo di rispondere aumentando le pene e non gli strumenti per prevenire le situazioni.
Ormai è dimostrato, però, che non è il carcere o l’aumento delle pene che ha effetto rispetto alla riduzione dei reati ma sono le scelte di contrasto e le forze che si riescono a mettere in campo.
L’idea di risolvere ogni problema con il processo penale e aumentando le pene è una questione che porta con sé molte contraddizioni, distorsioni e non fa funzionare meglio la giustizia.