L’intervento di Piero Fassino sullo stipendio dei parlamentari, cioè sulla dignità dei rappresentanti del popolo e della democrazia che essi incarnano con l’elezione, sembra caduto nel vuoto dell’ipocrisia.
Che i parlamentari prendano 4700 al mese, i media l’hanno trattato come una vera e propria notizia, come se Fassino fosse un imprenditore o un professionista che abbia rivelato gli incassi, mentre i dati del suo cedolino, identico a quello degli altri parlamentari, sono, o dovrebbero essere, arcinoti. E che si tratti di uno stipendio del tutto normale per un dirigente di medio livello (ma non di alto, quelli costano di più) appare evidente, se non si vive sulla Luna. Né vale sommare gli altri benefit e rimborsi: anche questi sono normalissimi, nelle aziende e in ogni settore economico e professionale.
Il punto evidente è che i rappresentanti del popolo non solo non devono essere corruttibili, ma bisogna anche che siano in grado di rapportarsi senza buchi nelle suole o pezze al sedere con chiunque abbia denaro e potere, ed avere mezzi adeguati, se non abbondanti, per fare il loro importante lavoro. Tanto più che ne è stato ridotto il numero, quindi maggiore è la loro responsabilità.
Chiaro che alla radice del problema c’è una caduta generale del prestigio e della credibilità della figura del parlamentare, che è stata svalutata dal frequente accesso alla carica di gente estranea alla vocazione della politica, spedita a Montecitorio da partiti aziendalizzati, e che hanno dato sovente prove imbarazzanti. Ma se non si riconoscono ai parlamentari seri e credibili come Fassino la necessaria solidarietà e il dovuto rispetto, la credibilità e il prestigio perduti dalle istituzioni democratiche non si ritroveranno, e questo è un problema di tutti noi cittadini, non di una presunta “casta” di politici.
Sembra invece che dal lato di una politica umiliata e intimidita nessuno o quasi voglia dire francamente che Fassino ha ragione, che il lavoro istituzionale e politico va retribuito per quel che vale, e vale molto, mentre dal lato di quelli che disprezzano la democrazia, che è disprezzo, eccome, della gente, vengono alte le risate delle iene benestanti del qualunquismo.