INCONTRI RIFORMISTI 2015
7 febbraio – Eupilio (Co)
Villa Sant’Antonio Maria Zaccaria – Padri Barnabiti – via S.Antonio 17 Eupilio
discuteremo delle questioni poste dal semestre di Presidenza italiana della UE
I lavori si articoleranno nel seguente modo:
8.30 Registrazione partecipanti
9.00 I sessione: le politiche economiche e i rapporti tra i vincoli posti dal Fiscal Compact e dal modo in cui la Commissione lo interpreta e la politica economica (fiscale del lavoro) del governo italiano. Relazioni di Marco Leonardi, Tommaso Nannicini, Filippo Taddei e Emilio Barucci
14.00 II sessione: il quadro politico europeo alla luce del semestre di presidenza italiana. Relazioni di Eugenio Somaini, Fabio Franchino e Paolo Segatti
Intervento di Giorgio Tonini
Hanno assicurato la partecipazione Alessandro Alfieri e Pietro Bussolati
Presentazione del convegno a cura di Eugenio Somaini
La partecipazione prevede un costo di 30€ (25 per il pranzo e 5 contributo segreteria).
Il semestre di presidenza italiana dell’UE è destinato ad occupare un posto di rilievo nella storia dell’UE, non tanto per le iniziative che la presidenza ha promosso quanto per gli eventi e per i problemi che lo hanno caratterizzato.
Le elezioni europee del 25 maggio 2014, le ottave della serie, hanno rappresentato una novità: i) per essere state le prime per le quali si è stabilita una relazione, seppure indiretta, tra formazione del nuovo parlamento e designazione alla presidenza della nuova Commissione Europea (costituitasi agli inizi di novembre), con il conferimento della stessa al candidato dal raggruppamento europeo che aveva ottenuto un maggiore numero di voti (nel caso in questione il PPE) e ii) per la vistosa affermazione di partiti apertamente anti-europeisti in quasi tutti i paesi europei (dal Mediterraneo alla Scandinavia), ovunque minoritari ma in potenziale crescita e spesso in grado di condizionare il quadro politico nazionale ed europeo.
I rapporti tra la Commissione e diversi governi nazionali (tra i quali il nostro), e indirettamente quelli tra singoli governi (o gruppi di governi, sono stati caratterizzati da una polarizzazione tra coloro che attribuivano la priorità al rigore e all’austerità e coloro che la attribuivano alla crescita, o più precisamente tra fautori dell’osservanza di regole e dell’ordine (nel senso dell’ordo-liberalismo tedesco) e fautori della politica come iniziativa.
Tale polarizzazione ha assunto per certi versi anche la forma di un contrasto tra istanze di democrazia concreta, espressa da organi e poteri visibili, fortemente personalizzati, direttamente soggetti a forme pregnanti di controllo da parte dei parlamenti e dell’opinione pubblica ed esposti alla possibilità di essere sfiduciati da un lato e dall’altro organi di tipo sostanzialmente amministrativo e burocratico, la cui legittimazione si fonda sui Trattati, della cui implementazione essi sono incaricati, organi che sono sostanzialmente al riparo da ogni forma di controllo democratico ed inegualmente esposti all’influenza dei singoli governi.
Particolarmente vistoso il mutamento che si è verificato nella percezione italiana dell’Europa. Fino a tempi molto recenti l’Europa ha rappresentato il faro e la bussola dell’orientamento politico dei governi (con la parziale eccezione di quelli a guida Berlusconi) e la fonte ultima di legittimazione degli stessi anche nei confronti dell’opinione pubblica: nel caso dell’ultimo governo Berlusconi la mancata legittimazione europea è stata la diretta causa della caduta, in quello dei governi Monti e Letta la stessa, con la mediazione dal Presidente della Repubblica, ha coperto il vistoso deficit di rappresentatività e la scarsa popolarità.
Con la formazione del governo Renzi, e in particolare dopo il successo del PD alle elezioni europee, l’impostazione si è per certi versi rovesciata: la contestazione da parte del Presidente del consiglio della politica di austerità richiesta e imposta dalla Commissione si è accompagnata alla contrapposizione tra una legittimazione direttamente espressa dal voto popolare (seppure a un governo il cui leader non era stato eletto al parlamento) e quella opaca e indiretta di una Commissione che combinava la sostanziale assenza di qualsiasi potere di autonoma iniziativa con poteri e ruoli di natura più amministrativa e giudiziaria che propriamente politici, ma accompagnati da una posizione di preminenza nei confronti dei governi.
Sempre più emerge che il passaggio dalla sovranità nazionale a quella sovranazionale non rappresenta semplicemente il trasferimento dai governi nazionali a un organo sovranazionale come la Commissione di poteri che restano sostanzialmente invariati, ma si accompagna a una significativa trasformazione nella natura, nell’oggetto e nelle forme del potere stesso.
L’emergere delle divergenze e delle tensioni di cui si è detto pone l’esigenza di un confronto aperto e mette in discussione una serie di luoghi comuni che, soprattutto nel nostro paese, avevano dominato la discussione sui temi europei. Esempi di questi sono da un lato la visione dicotomica che contrapponeva a un europeismo rigorosamente federalista alla Spinelli un euroscetticismo sommariamente qualificato come una forma di anti-europeismo e dall’altro l’idea che tutto il bene stava negli organi federali e tutto il male nelle istanze nazionali.
Quelle che attualmente si confrontano sono due (o anche più) diverse forme di europeismo, ognuna delle quali è caratterizzata da una particolare combinazione di elementi sovranazionali e nazionali e, per quanto riguarda gli organi europei, da una particolare combinazione di elementi propriamente federali e di elementi intergovernativi.