Di Pietro Salinari.
L’Italia è in declino da vari decenni. In tutti questi anni il PIL del nostro paese è cresciuto meno di quello della Francia, della Germania e della Gran Bretagna nelle congiunture favorevoli, è caduto maggiormente durante le crisi e si è risollevato dalle crisi più lentamente.
Non si tratta solo del declino del PIL pro capite, ma di un declino complessivo, come si evince dal libro di Ignazio Visco1, che enumera una lunga serie di indicatori in cui ci discostiamo da altri paesi delle nostre dimensioni. Persino l’Indice di Qualità della Vita, definito proprio con l’intenzione di rispondere alle insufficienze del PIL quale indice complessivo dello sviluppo, segnala un discostarsi dell’Italia dagli altri paesi europei.
Di fronte ad uno smottamento di così vasta portata non sono mancate le analisi da parte di economisti2 e di commentatori politici e sono stati individuati numerosi rimedi; i più credibili riguardano processi di medio-lungo periodo: far funzionare meglio la scuola, rendere spedita ed efficiente l’amministrazione pubblica, rendere la giustizia più veloce ed efficiente, cercare di irrobustire e ammodernare la fragile struttura dell’industria italiana, implementare politiche attive del lavoro, aumentare la partecipazione delle donne al lavoro, tentare di colmare l’enorme divario tra nord e sud (tutte le aree di sottosviluppo in Europa si sono gradualmente ridotte, in nostro mezzogiorno è la maggiore eccezione), alleviare il peso fiscale e renderlo più equo e più favorevole alla crescita, ridurre l’evasione fiscale, attuare delle revisioni della spesa pubblica, che copre una percentuale del PIL simile a quella dei paesi scandinavi, ma con un livello di servizi astralmente inferiore.