Di Bruno Marasà.
La prima, importante, notizia è che al G7 di Carbis Bay (Cornovaglia) è tornato il multilateralismo. Erano ancora fresche negli occhi degli osservatori le immagini delle concitate conclusioni dell’ultimo G7 (2019 a Biarritz, Francia) al quale aveva partecipato Donald Trump. Il suo abbandono burrascoso aveva persino compromesso l’approvazione del comunicato finale.
La novità, non c’è dubbio, l’ha portata Joe Biden, il quale sin dal giorno del suo insediamento come nuovo Presidente degli Stati Uniti ha rovesciato radicalmente l’atteggiamento del suo predecessore, rilanciando partecipazione e condivisione con gli altri paesi sviluppati dell’Occidente su tutti i principali dossier sul tavolo del confronto.
Biden aveva offerto una cornice a questa nuova fase lanciando già a febbraio scorso, all’annuale Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, l’idea dell’Alleanza delle democrazie.
Nel Vertice, il cui clima è stato incoraggiato da questa nuovo approccio, sono prevalsi senz’altro gli aspetti positivi. La rinnovata disponibilità Usa a discutere, ha facilitato il compito di una Unione europea che, divisa al suo interno su molti dossier, ha dei punti fermi nella visione multilaterale espressa da Angela Merkel, Emmanuel Macron e ora, con grande autorevolezza, da Mario Draghi.
Insomma, anche se l’approccio di Biden è apparso meno pragmatico di quello dei suoi partner, di quelli europei in particolare, non siano più certo ai tempi della famosa definizione di Robert Kagan sulla contrapposizione tra “quelli di Venere (europei) e quelli di Marte (americani)”.
Del resto, avevano preparato il terreno alcune delle decisioni già assunte dalla nuova Amministrazione americana, sul negoziato globale sul cambiamento climatico, sotto l’egida delle Nazioni Unite, con gli Stati Uniti allineati su ambiziosi obiettivi da raggiungere entro il 2030-50, sul solco di quanto deciso dagli europei. La ratifica (al limite della scadenza) dello START 2 sugli armamenti nucleari (eredità della fine della guerra fredda e degli accordi tra Gorbaciov e Reagan). I segnali positivi sulla ripresa dei colloqui per la gestione dell’accordo sul nucleare a scopi pacifici con l’Iran, dal quale Trump aveva rumorosamente fatto uscire gli USA.
Il lungo Communiqué del G7 (25 pagine fitte) su “un’agenda condivisa per un’azione comune per tornare a ricostruire meglio”, meriterà un’analisi più approfondita e dettagliata.
Non è questa la sede per ripercorrerne i temi trattati (e, spesso, anche le soluzioni indicate). Certo è che all’interno di questa importante convergenza di posizioni troviamo i grandi temi dello sviluppo nell’era della post-pandemia con un’economia mondiale da ricostruire (e riequilibrare), il cambiamento climatico, il grande tema dell’Africa e della necessità di un maggior impegno nell’agenda dei paesi sviluppati per realizzare anche in questa parte del mondo gli obiettivi SdGs dell’Onu (obiettivi per lo sviluppo sostenibile entro il 2030).
Ampi spazi sono statti dati alle questioni dei diritti e della difesa della democrazia con una combinazione che non si può non condividere tra diritti pubblici e individuali (significativo il richiamo per esempi nel capitolo sulla Gender equality ai diritti LGBQT+).
E anche nell’agenda di politica estera non sono stati sottratti riferimenti concreti alla Bielorussia, al Myanmar, all’Afghanistan (alla vigilia del ritiro delle truppe occidentali). Chiaro anche il riferimento all’Iran e alla necessità, anche con una specifica iniziativa Usa, del rilancio del negoziato multilaterale sul nucleare a scopi pacifici.
Prima e dopo questa lunga disamina come illustrata nel comunicato finale si collocano i rapporti con la Cina, la Russia (e la Turchia, anche se in questo caso il tema è stato demandato al successivo Vetice NATO in corso a Bruxelles).
Qual è il punto di equilibrio raggiunto in questa intensa tornata di discussione tra i leader? A legger certi titoli (vedi la Repubblica di lunedì “il G7 contro gli autocrati”) si rischia, e non sarebbe la prima volta di cedere alla propaganda. Ben più complessa risulta dai resoconti dei colloqui la valutazione dei leader occidentali. Certo, in alcuni casi si può parlare di sfumature, ma non è indifferente leggere che contro le autocrazie più che con atteggiamenti muscolari si tratta di saper entrare nel merito delle grandi sfide globali (clima, commerci internazionali, intelligenza artificiale e nuove tecnologie, cybersecurity e così via).
Dal G7 di Carbis Bay emerge in realtà una comunità consapevole della necessità l’interloquire con altre realtà mondiali, Cina in primis per affrontare queste sfide. Draghi è stato esplicito al riguardo quando ha ricordato che le discussioni del G7 avranno una naturale prosecuzione nel quadro degli G20 (di cui l’Italia ha la presidenza).
Certo le conclusioni di ieri non saranno facilmente e automaticamente sovrapponibili a quelle che dovranno essere tirate nel corso del nuovo appuntamento internazionale di quest’anno, ma è altrettanto vero che difficilmente ci si potrà discostare da questa agenda.
La Cina, che si prepara a diventare tra poco tempo la più grande potenza economica mondiale, resterà un partner scomodo (sicuramente per le questioni dei diritti umani) ma con il quale sarà inevitabile confrontarsi.
Ancora più evidente è la complessità del rapporto con la Russia. Non è pensabile spingere questo paese (che rimane la seconda potenza mondiale per gli armamenti) nelle braccia di una duratura alleanza la Cina. Il ruolo che questo paese si è ritagliato nel Mediterraneo (insieme alla Turchia, ma spesso su posizioni contrastanti tra di loro) non può essere liquidato con anatemi. Non si tratta certo di assecondarne gli obiettivi, ma certamente occorrerà lavorare per farne un partner capace di contribuire alla risoluzione pacifica di importanti conflitti aperti (come quelli in Libia e in Siria, soprattutto).
Se si volesse trarre una prima conclusione dagli eventi di questo intenso week-end in Cornovaglia, si potrebbe concludere che abbiamo assistito al confronto di una comunità internazionale più rigorosa ed assertiva di fronte alale sfide che di fronte. Non era scontato. E certo la lezione della pandemia, i colpi inferti in modo simmetrico a grandi e piccoli dal virus, hanno lasciato il segno.