Di Erminio Quartiani.
Intervento svolto in introduzione dell’Assemblea degli Iscritti di Libertà Eguale Milano Lombardia del 14 aprile 2021.
Care amiche e cari amici, l’undici maggio di quest’anno cade il ventesimo anniversario della formale fondazione della nostra associazione milanese e lombarda, anche se era operante già dal 1999.
Causa emergenza pandemica, non potendoci incontrare in persona, in questi primi mesi dell’anno 2021 abbiamo intensificato i nostri incontri on line. Questa è la terza assemblea, nella quale affronteremo il tema e le questioni connesse al quadro politico nuovo che si è determinato.
Dall’ultima nostra assemblea ci separano un nuovo Governo a guida Draghi, un governo del Presidente per salvare il Paese dagli effetti sociosanitari ed economici prodotti dalla Pandemia e rilanciare l’Italia in Europa. Il rischio generato dalla crisi del Conte bis era quello di compromettere la prospettiva del Paese anche per via di una rischiosa e un poco avventurosa gestione degli impegni economici, di riforma e di rilancio assunti in Europa nei mesi precedenti.
Ci separano anche le dimissioni di Zingaretti e l’elezione di un nuovo segretario del PD, che ha nome Enrico Letta e che ha dato e sta dando nuova centralità al partito nel consesso delle forze riformiste e di centrosinistra.
D’altro canto il precedente Presidente del Consiglio Conte sta concludendo l’iter per assumere la guida di un movimento 5 Stelle rinnovato. Dall’esito di questo percorso deriveranno nuove prospettive anche per la verifica della fattibilità di una alleanza tra riformisti di centrosinistra e 5 Stelle per le prossime elezioni politiche.
Diversamente da quanto ieri ha sostenuto Goffredo Bettini, il leader di una nuova corrente interna al PD, il governo non è caduto a causa di un complotto internazionale. Non si capirebbe peraltro perché il Pd stesso abbia, dapprima con freddezza e poi con il calore di Letta, sostenuto Draghi, considerandolo presidente del consiglio di un governo che il PD considera il proprio governo, come Letta stesso ha affermato molto nettamente nella sua relazione di insediamento a segretario.
È accaduto che, con Draghi, il PD si è trovato alleato non solo dei 5Stelle, ma anche di Salvini e della Lega, a meno che non si ritenga che, stando nello stesso governo, non si sia alleati condividendo lo stesso programma su cui il Parlamento ha espresso la fiducia.
Dunque, per capirci, il problema non è mai stato se allearsi o no con i 5Stelle, visto che dal settembre 2019 la sinistra riformista ci ha governato insieme e tuttora ci governa (rimangono la principale forza parlamentare per consistenza numerica).
Il problema è capire se l’alleanza con i 5Stelle può arrivare a fine legislatura, o comunque quando si voterà, e se, quando si voterà, ci sarà un patto elettorale tra il PD e le altre formazioni del campo del centrosinistra con gli stessi 5Stelle. E, infine, se questo patto potrà già misurarsi elettoralmente alle elezioni amministrative e regionali dell’autunno prossimo.
Occorre preliminarmente anche chiarire che il governo Conte bis è caduto perché non aveva più la maggioranza in Parlamento e non per altri accidenti esterni alla maggioranza, probabilmente incapace di dare corso a riforme incisive sui terreni della giustizia, del fisco, del lavoro, della PA e sul terreno istituzionale (il voto ai 18nni al Senato e la riforma elettorale).
Sul PNRR incidevano tutte queste, ed altre, resistenze a dare compimento a un programma di governo condiviso e a compiere passi decisivi verso un percorso di riforme, peraltro promesse all’Europa allorché l’Italia strappò 209 miliardi di contributi e sostegni. Al massimo il PNRR veniva presentato come semplice terreno di spesa e di investimenti disponibili grazie al fondo europeo, ma non per le riforme (che nelle due versioni presentate dal governo Conte in Parlamento erano indicate solo genericamente).
Questo delle riforme era ed è un limite invalicabile per tutti per ottenere dall’Europa quanto pattuito. Ciò vale anche per il governo Draghi:” dati i soldi, vedere cammello”!
Per agevolare la realizzazione delle riforme è probabile che la presenza della Lega al governo renda , se non più facile, più credibile questo cammino attraverso il quale l’Italia potrà tornare a rappresentare uno dei principali motori per passare nel Continente dal NGEU a un vero bilancio europeo, per il quale ancora grossi ostacoli oppongono i singoli Governi nazionali dei Paesi cosiddetti frugali e la stessa Germania, dove il dopo Merkel si annuncia con una pronuncia dell’Alta Corte attesa sulla vicenda del debito comune assunto insieme con gli altri partner europei per far fronte alla pandemia e al reperimento delle risorse per rilanciare l’economia dell’Unione, ma che i governi e i parlamenti devono ancora in parte autorizzare.
Ecco come rallentamenti e contrasti in questo campo, o anche nel campo dell’emergenza sanitaria per i vaccini, dicano dell’urgenza di disporre di un vero e proprio bilancio europeo condiviso. Ora questo progetto di bilancio unico con Draghi è più credibile per l’Italia sostenere e perseguire.
Il governo è saldamente europeista e atlantista. Così colloca Draghi l’Italia nel contesto mondiale nel suo discorso di insediamento alle Camere, confermato anche dopo i passi fatti in Libia, gli accordi con Macron e i distinguo da una politica europea acquiescente verso il dittatore Erdogan.
Quest’ultimo è il terreno più difficile da digerire da parte della Lega. La quale tiene non a caso lo spazio pubblico tutto incentrato sulla polemica relativa alla pandemia.
Quanto potrà reggere Salvini la nuova collocazione e il posizionamento leghista, europeista ed atlantista, si vedrà tra non molto e si capirà se la svolta della Lega sarà stata solo tattica. Forse ci sarà anche un tempo in cui le contraddizioni in ordine alla collocazione internazionale ed europea di Salvini troveranno sbocco nel dibattito interno alla Lega. E capiremo meglio.
Se la svolta della Lega di governo europeista e atlantista risulterà essere solo tattica, i tempi della permanenza della maggioranza che sostiene Draghi potrebbero accorciarsi.
Di qui l’esigenza a maggior ragione di un PD che rilanci la sua vocazione riformista e maggioritaria.
Con Letta e i suoi venti punti, che sono stati oggetto di consultazione nei circoli, c’è più spazio perché il Pd possa assolvere al compito che storicamente si è dato di unire tutti i riformisti di centrosinistra, se non tutti dentro il PD, certamente con un PD perno centrale di una coalizione di centrosinistra, aperta ai 5Stelle e ad altre formazioni di Centro.
Molto si è discusso e si discuterà sulla legge elettorale. Dopo la riduzione del numero dei parlamentari ancor più necessaria.
Prima di addentrarci dentro le possibili opzioni sul sistema e il metodo, il modello elettorale, è bene prendere atto che sembra ormai certo che Letta abbia posto al centro del programma della sua segreteria l’obbiettivo di competere secondo uno schema bipolare con la Lega e il centrodestra, rilanciando l’alternativa e l’alternanza di governo.
Dal pantano del Conte bis su questo terreno è uscita sconfitta la prospettiva di una nuova legge elettorale proporzionale, tanto quanto è uscita sconfitta la linea di subalternità al populismo, accentuatasi nella fase finale del Conte bis.
Ma non è emersa una nuova e condivisa proposta di riforma elettorale tra gli attori della maggioranza che sostiene il nuovo governo. Il quale governo, anzi, nelle sue regole d’ingaggio, non contempla quella della legge elettorale.
La riforma elettorale sta dunque nelle mani dei partiti e del Parlamento.
Se sta nelle sole loro mani, può essere indizio di un possibile approdo a un nulla di fatto.
Tuttavia va rilevato che questo nodo il Pd con Letta lo ha sciolto: ha scelto il maggioritario.
La Lega ancora non lo ha sciolto, visto che le ultime dichiarazioni di Salvini lo fanno propendere per lo status quo, per il mantenimento della legge elettorale vigente. Anche se va rilevato che invece Calderoli si è speso per il Mattarellum, che non troverebbe ostacoli nel Pd e forse nemmeno nelle forze minori nella versione del Mattarellum per l’elezione della Camera.
Il movimento 5Stelle è fermo al palo del proporzionale. Vedremo se con Conte cambierà idea.
Tuttavia osservo che nel PD, e anche nel campo riformista, compreso quello di LibertaEguale, si insiste sul doppio turno, ma con interpretazioni differenti.
Ceccanti, ad esempio, non interpreta il doppio turno di collegio, ma il doppio turno in cui al secondo competono i primi due soggetti (partiti o coalizioni) che si classificano ai primi due posti a livello di liste nazionali; dunque non a livello di collegio né di circoscrizione (su liste plurinominali, non si capisce se bloccate o con preferenza. Si fantastica di obbligo di primarie per formare le liste bloccate!).
Su questo punto i gruppi parlamentari sono grandi frenatori. Temono una legge maggioritaria come il Mattarellum (75% di collegi uninominali e liste per il 25 % di proporzionale bloccate corte, che danno anche un diritto di tribuna ai minori). Temono qualunque cosa possa alterare gli attuali criteri di selezione e elevare la qualità della rappresentanza politica, del personale umano che interpreta la politica nel rapporto con i territori e la società.
Ma, se c’è una cosa chiara emersa da questa crisi, è che con il prossimo Parlamento comunque cambierà la fisionomia e, si spera, anche la qualità della classe politica e dei rappresentanti eletti nei due rami.
I cittadini non saranno certo chiamati a eleggere il sindaco d’Italia, ma , se non disporranno di strumenti adeguati per cambiare e per scegliere gli eletti, per farli contare anche nel senso di rappresentare interessi diffusi, e di fornire stabilità di governo, il rischio è che venga premiata l’opposizione , ora interpretata solo da FDI e, soprattutto, dopo lo shock dato dal quadro pandemico in evoluzione, contemporaneamente si affermi il rischio per le forze democratiche di una larga disaffezione dal voto.
Anche da come si metteranno le cose sul terreno delle riforme istituzionali ed elettorale, dipenderà la sorte della legislatura, se continuerà sino alla sua conclusione naturale o se fermerà il suo percorso dopo l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica il febbraio prossimo.
Un accordo in Parlamento sulla legge elettorale maggioritaria e il voto ai 18nni, insieme con le altre riforme per le quali si è impegnato il Governo direttamente, rappresenteranno le uniche chances per disporre di una legislatura che si concluda utilmente nel 2023. Altrimenti occorrerà prepararsi al voto il prossimo anno, con la legge elettorale vigente, applicata su 400 più 200 parlamentari da eleggere.
Poiché anche la legge elettorale vigente contempla meccanismi maggiorarizzanti l’assegnazione dei seggi nei collegi uninominali, prendiamo almeno atto comunque che per il proporzionale si è definitivamente chiuso ogni spazio.
Per le cose dette, voglio anche rendere esplicita una convinzione, che personalmente ho maturato, ma non lo è invece in tutti noi di LibertaEguale (anche a livello nazionale si sono esposte teorizzazioni e differenziazioni di giudizio a riguardo):il Governo Draghi non è un governo riformista. È questa, una lettura ideologica del governo e della sua natura. Il governo Draghi è più semplicemente un Governo per l’Italia e la sua salvezza, non solo dalla pandemia, ma anche per il varo delle riforme collegate, il rafforzamento del Paese nel rapporto con i partner europei e d’oltreatlantico.
Perciò non ideologizziamo il governo Draghi. Sarebbe sbagliato per noi riformisti e per la riuscita dei compiti che è stato chiamato ad assolvere con la fiducia larghissima del Parlamento.
Certamente nessun governo futuro potrà prescindere da ciò che verrà avviato dal governo Draghi.
Si pensi a quanto potranno fare i due ministri della transizione ecologica e di quella digitale.
Una associazione come LibertaEguale dovrà dare il proprio contributo a far crescere il dibattito e il confronto interno al centrosinistra su questi temi e sulle soluzioni da dare alle questioni di diseguaglianza che in modo radicale l’eredità della pandemia porta con sé per parti consistenti della società che hanno perso o vanno perdendo lavoro e reddito.
C’è l’appuntamento della nostra Assemblea nazionale fissata ad Orvieto per il 12 e 13 settembre.
C’è l’appuntamento per una discussione programmatica e progettuale del PD nel prossimo autunno, dopo le amministrative.
C’è il terreno dell’attuazione del PNRR e delle riforme connesse, che chiamano anche a un aggiornamento della cultura di tutti i soggetti politici, dei soggetti sociali ed economici e delle loro costituencies organizzate, cioè dell’intera classe dirigente del Paese.
Penso che gli obbiettivi di sviluppo sostenibile, che sono impegnativi per gli Stati che hanno sottoscritto Agenda 2030 e per l’’intera Europa, che li sta attuando con il Green deal e il NGEU, oltre che con altri strumenti che riguardano le strategie per il clima, la biodiversità e la coesione economica, sociale e territoriale, contro la povertà e le nuove e vecchie diseguaglianze, rappresentino l’orizzonte entro cui inscrivere l’agire concreto del settore pubblico, statale e locale, come dei soggetti privati chiamati a interpretare la nuova stagione e le sfide dell’epoca nuova, che si preannuncia a sua volta colma di grandi prove per la politica.
Dobbiamo contribuire a progettare il dopo Covid.
A mio modo di vedere, le fratture e diseguaglianze passeranno lungo quattro principali fattori:
1) Generazionale 2) territoriale 3) ambientale 4) dimensionale
1) generazionale: le nuove generazioni sono spaesate, per cultura (memoria digitale versus memoria razionale e arcaica), per potenza sociale in campo (si inverte il rapporto numerico tra generazioni a piramide rovesciata), per eredità (debito, istituzioni arretrate e autoreferenti, reddito insicuro e inferiore alle aspettative, ecc.), il che implica una insoddisfazione crescente e il rischio del ribellismo radicale come soluzione al conflitto sociale.
2) Territoriale: cresce la diseguaglianza tra territori, sia a livello mondiale, sia in Europa e nel nostro Paese: aree interne e montane versus aree metropolitane, Nord/ Sud, centro/periferie urbane, aree sviluppate e dotate di servizi versus aree povere e prive di servizi essenziali volte all’abbandono e alla marginalità estrema: il che mette in discussione l’unità reale del paese e trascina con sé la crisi verticale della rappresentanza sia politica che economica-sociale ( crisi del rapporto cittadino/ stato, impresa/organi della rappresentanza, lavoratori/sindacato, ecc. ). Ciò trascina con sé la perdita di autorevolezza dei governi a tutti i livelli (nazionale e locale) e nel rapporto tra loro (corporazione versus individualizzazione dei rapporti, sfiducia nelle soluzioni valide erga omnes che sono alla base di ogni praticabilità di governance). Nel territorio si gioca molta parte della scommessa per la riduzione delle diseguaglianze e della qualità del governo dei processi.
3) Ambientale: nel mondo si stanno consumando ad elevata velocità il capitale naturale, la biodiversità e i servizi ecosistemici che essa comporta, quali elementi di equilibrio per la stessa sopravvivenza in salute e il benessere del genere umano. Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile è lo strumento per arrestare questo declino. Non si tratta solo di Climate Change, anche e molto, ma non solo. Si tratta di uno scenario indotto da uno status quo che, se non arrestato e riallineato su un crinale di sostenibilità, produce esso stesso forti e sempre più dirompenti diseguaglianze, conseguenza degli effetti dovuti al cambiamento dell’uso delle terre e del mare, al sovrasfruttamento, ai cambiamenti climatici, all’inquinamento. Pressioni a loro volta determinate dai modelli di produzione e di consumo non sostenibili, dalla crescita demografica che genera emigrazioni di massa, dagli sviluppi tecnologici non temperati da politiche di mitigazione sociale, economica e territoriale volte alla coesione. Sono tutti fattori destabilizzanti di difficile governo con gli strumenti ordinari attualmente a disposizione e con le culture politiche (vedi Pil come unico strumento di misurazione del benessere) attualmente prevalenti.
4) Dimensionale: contano sempre più le dimensioni: degli aggregati statali, delle imprese, dei capitali finanziari, delle potenze scientifiche e tecnologiche. Vedi Big-Pharma, Big media, ecc.: nella percezione generale, anche solo oggettivamente, tutti i soggetti in campo economico si interrogano sulla possibilità di sopravvivere a questo tsunami. PMI versus grandi multinazionali, comunità locali versus comunità nazionale o extra nazionale, piccole banche contro grandi istituti, campioni nazionali contro aggregazioni transnazionali, ecc.
Questi quattro fattori possono tradursi in occasioni di elaborazione di obbiettivi politici e culturali mobilitanti. Solo per fare qualche esempio: il voto ai sedicenni quello generazionale; il rilancio del federalismo solidale e del federalismo europeo quello territoriale; il riuso del patrimonio edilizio quello ambientale; il multilateralismo e l’Europa unita quello dimensionale.
La nostra ricerca, anche in preparazione dell’Assemblea nazionale di LibertaEguale di Orvieto dell’11 e 12 settembre e delle annunciate Agorà del Pd di autunno prossimo, può incanalarsi dentro questi 4 fattori.
La legge elettorale in quello territoriale (collegio uninominale), lo ius culturae in quello dimensionale(dare sbocco alle spinte migratorie governando i conflitti), il PNRR in quello ambientale (il 37% va speso per migliorare l’ambiente), l’economia di prossimità in quello dimensionale( prossimità tra persone, tra entità organizzate della società, tra soggetti individuali e collettivi con l’istituzione locale), e cosi per altre tematiche da sviluppare e affrontare dentro una elaborazione di tipo programmatico che guardi al dopo covid nel medio/ lungo periodo( quindi non solo un programma di governo), senza rinunciare a ricercare risposte per l’oggi e il futuro ravvicinato, a partire dalle sofferenze sociali, economiche e comportamentali generate come effetti delle politiche di mitigazione del Covid( chiusure di attività produttive e di incontro sociale e culturale, riduzione delle libertà individuali, impoverimento di una parte della popolazione, nascita di nuovi garantiti nel mercato del lavoro, accumulazione di nuove ricchezze, ecc.) .
Questi temi dovrebbero essere anche parte dell’approccio alle proposte per le elezioni amministrative del prossimo autunno.
Potrebbe ispirarci una citazione di John Maynard Keynes tratta da un suo libro del 1919 (“The economic consequenses of the peace”) scritto subito dopo la fine della prima guerra mondiale: “Gli sviluppi dell’anno venturo non saranno foggiati dagli atti deliberati dagli statisti, ma dalle correnti nascoste che incessantemente fluiscono sotto la superficie della storia politica, e il cui sbocco nessuno può prevedere. In un modo soltanto possiamo agire su queste correnti nascoste: mettendo in moto quelle forze dell’educazione e dell’immaginazione che cambiano l’opinione. Affermare la verità, svelare le illusioni, dissipare l’odio. Allargare ed educare il cuore e la mente degli uomini: questi i mezzi necessari”.
Finisco ricordando che, anche in quest’ottica, confermiamo il programma di iniziative indicato nell’assemblea di gennaio, che chiamano anche il Comitato scientifico a un impegno di elaborazione e ricerca sui temi trattati, a cominciare da quello della legge elettorale e delle diseguaglianze generate dalla crisi pandemica, oltre che sui temi richiamati dell’Agenda 2030 e la strategia per lo sviluppo sostenibile.
Confermiamo anche il lavoro di raccordo e ricerca comune con le altre due associazioni di cultura politica con le quali da anni organizziamo i nostri Incontri Riformisti: l’Associazione Democratici per Milano e i Circoli Dossetti.
Ringrazio infine Diana Comari per il restyling del sito e la cura con cui segue la pagina Facebook dell’associazione, che chiedo a tutti di utilizzare con più attenzione e popolandola di interventi e commenti.
Con Diana Comari, ringrazio anche il direttore Giovanna Menicatti e Francesco Franceschini, che coordinano questa attività per la presidenza, ai quali vi prego di fare riferimento per indirizzare articoli e interventi da pubblicare su Facebook come sul sito.