A Orvieto con Libertà Eguale

Intervento di Michele Salvati all’Assemblea Nazionale di Libertà Eguale a Orvieto.

Tra i materiali distribuiti per il nostro incontro trovate un mio lungo articolo pubblicato sul Foglio il 29 luglio scorso con il titolo “Contro il bi-populismo”. Se astraete dalle ragioni contingenti che mi avevano indotto a scriverlo (…una prima valutazione dei risultati delle elezioni europee), credo che contenga in estrema sintesi i riferimenti storici/economico-sociali/ideologici che hanno dato origine e giustificano la continuità di Libertà Eguale. Una Associazione che intende promuovere, ancor prima di una azione politica, una cultura di ispirazione liberal-democratica nella sinistra. E intende farlo con riferimento all’Italia perché, al dl là della ragione ovvia che si tratta del nostro paese, la democrazia -il rispetto della volontà espressa in libere elezioni dai cittadini- è possibile solo in singoli stati nazionali, se osservano le regole e soprattutto lo spirito di uno stato di diritto. Tra stati sovrani queste regole non possono essere adottate e la convivenza più o meno pacifica tra di essi discende da regole e istituzioni diverse. E soprattutto da rapporti di forza.

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In misura e con modalità differenti, tutti i paesi retti da regimi liberal democratici sono oggi in difficoltà. La democrazia liberale è il frutto di una storia secolare e sino ad oggi non sono state trovate alternative altrettanto rispettose dei principi di libertà ed eguaglianza che sono propri della sinistra riformista. Di fronte alle difficoltà presenti si pongono allora due interrogativi. (a) Quale strategia seguire nella situazione internazionale ed europea in cui ci troviamo e soprattutto nelle condizioni istituzionali, economiche e sociali nelle quali si trova il nostro paese? (b) È ancora perseguibile oggi un ideale liberaldemocratico (in particolare nella sua versione di sinistra) come lo è stato per i principali paesi sviluppati nel lungo dopoguerra, almeno sino alla Grande Recessione del 2007/2008? A questi interrogativi cerca di rispondere una letteratura che cresce esponenzialmente. Senza entrare nel merito, la mia personale risposta è che –come Libertà Eguale– dovremmo rispondere “come se” una riformulazione dell’ideale liberaldemocratico adatta all’attuale fase storica fosse possibile. E di conseguenza auspicabile.

In questi anni ci troviamo in una situazione di cambiamento intenso, in una svolta storica, nella quale dobbiamo ridefinire le nostre concezioni di destra e sinistra. Come LibertàEguale, e in riferimento al caso italiano, dobbiamo impegnarci in uno sforzo diretto a (1) giustificare, rendere credibile e condiviso un orientamento riformistico liberaldemocratico, a partire dalla sinistra. E, (2), dobbiamo favorire rapporti di dialogo e cooperazione con forze collocate nel campo della destra, ma vicine ad una concezione politica liberaldemocratica. Questo è indispensabile sia nella politica internazionale del nostro paese, sia in quella interna. Nella prima affinché la posizione e il ruolo dell’Italia siano messi al riparo da variazioni repentine e ingiustificate, provocate dal passaggio del governo dalla sinistra alla destra (…e viceversa, ovviamente). Nella seconda – nelle politiche istituzionali ed economico sociali- affinché si possano identificare, al di sotto delle inevitabili differenze politico-ideologiche, costanti programmatiche dovute al regime liberaldemocratico a cui i partiti dovrebbero attenersi. Sono queste costanti, e la cooperazione, i compromessi e il mutuo rispetto che esse assicurano, a garantire la coerenza e l’efficacia nel lungo periodo delle riforme che vengono adottate. E di conseguenza stabilità politica e prosperità economica. Questo è quanto ci invita ostinatamente a fare Sergio Mattarella, ed è quello che ha fatto nel rispetto pieno della Costituzione vigente in un momento di particolare emergenza.

Il Presidente sa però assai bene che occasioni di “interventi dall’alto”, permessi dalle sue attuali prerogative costituzionali, potrebbero non presentarsi più in futuro e, anche se si ripresentassero, ha dovuto costatare che possono essere facilmente frustrati se parti importanti del ceto politico non sono convinte che ne trarrebbero un vantaggio per il proprio partito.  Quello che in realtà il nostro Capo dello Stato auspica, e prima di lui avevano auspicato sia Ciampi che Napolitano, è la diffusione di un cemento di solidarietà nazionale più tenace di quello oggi prevalente. E questo è possibile solo se, “dal basso” -dalla società e dai partiti che ne esprimono l’indirizzo politico- emerge la domanda e l’offerta di un rigoroso indirizzo politico liberal democratico. Difficile, ovviamente, ma non si tratta di una visione irenica o impolitica. Non si tratta dei commossi e commoventi appelli alla pace di Papa Francesco. Si tratta di una visione coraggiosa e molto politica, alimentata dalla convinzione che è proprio questa visione quella richiesta da una parte crescente dei cittadini. E di cui il paese ha bisogno.

I partiti sono però associazioni il cui scopo primario è quello di massimizzare i consensi elettorali che ricevono, e questo fanno con tutti e mezzi consentiti dalla legge, inclusi messaggi elettorali irrealistici e demagogici. Contro demagogia e ignoranza non ci sono rimedi legali. Ma rimedi legali non sono necessari: sono infatti possibili difese di un programma liberaldemocratico orientato a destra o a sinistra, in direzione conservatrice o progressista, senza ricorrere a promesse irrealizzabili, estremistiche o demagogiche. Nell’esperienza dei paesi sviluppati dell’Occidente ciò è avvenuto per decenni, dopo la fine della seconda Guerra mondiale. Potrebbe avvenire ancora. Ed è possibile criticare in modo efficace le misure di un governo, di destra o sinistra, ricorrendo non a demagogia o estremismo ma ad argomenti razionali e alle migliori conoscenze delle scienze economiche e sociali. È quello che sta facendo, criticando il governo Meloni, Marco Leonardi nei suoi interventi sul Foglio, spesso molto duri ma sempre argomentati razionalmente, alla luce delle migliori conoscenza economiche oggi disponibili. E sta facendo, sul piano macroeconomico, un altro ottimo economista, Mario Baldassarri, certamente non vicino agli orientamenti politici della sinistra.  Nei loro campi di competenza, lo stesso avviene anche al di fuori dell’economia. In campo istituzionale menziono solo la civile discussione bipartisan sulla riforma costituzionale del premierato promossa dalla Fondazione Magna Carta e dalle Associazioni Io Cambio, Libertà Eguale, Riformismo e Libertà. Diverse le ispirazioni politico-ideologiche, comune la competenza scientifica e l’orientamento liberaldemocratico.

Razionalità e buone conoscenze storiche e scientifiche sono indispensabili, ma ben lontane dal fornire risposte esaurienti ai dilemmi che la politica propone e a soddisfare le domande che un regime liberaldemocratico solleva nelle sue imprevedibili evoluzioni. Una classe politica adeguata, progressista o conservatrice che sia, inevitabilmente opera negli enormi spazi di incertezza che scienza e razionalità lasciano scoperti. E, quando attua interventi di riforma, inevitabilmente deve ricorrere a valori, a orientamenti ideologici generali: è per queste ragioni che si ricade nelle categorie di destra e sinistra che la storia delle liberaldemocrazie in paesi capitalistici avanzati le consegna.

Molti credono, sia in campo progressista sia in campo conservatore, che una politica realistica di riforme adeguate al nostro paese non potrà mai essere attuata finché sarà prevalente una divisione dello spettro politico tra destra e sinistra: è questa la credenza che alimenta il confuso dibattito sul centrismo che imperversa nei giornali. Limitandoci al dopoguerra e fino alla grande crisi economico-finanziaria del 2007/8 -più di sessant’anni, dunque- la storia dimostra che questa credenza non è sostenibile: si sono realizzate riforme straordinarie che hanno accresciuto enormemente il benessere economico, le chance di vita, le libertà delle popolazioni che hanno avuto la fortuna di vivere in paesi capitalistici avanzati e in regimi liberaldemocratici. E questo è avvenuto in un contesto politico in cui la dialettica tra destra e sinistra è sempre stata centrale. È solo se si adotta una concezione di destra e sinistra inadeguata alla fase storica e alla situazione concreta del paese che la dicotomia che ha caratterizzato il sistema politico delle liberaldemocrazie nel corso del Moderno può rivelarsi inutile o dannosa.

Ma è forse ancor più dannoso pretendere di farne a meno, illudersi che i partiti che rifiutino di schierarsi a destra o a sinistra possano soddisfare la domanda di moderazione, di coesione sociale, di solidarietà nazionale che confusamente percepiscono essere presente nelle società moderne. La domanda alla quale i grandi, ultimi presidenti della Repubblica hanno dato voce in Italia. Questa domanda può essere assai meglio soddisfatta se fatta propria dagli stessi partiti di Destra e Sinistra. Nulla impedisce una interpretazione di quella dicotomia che incorpori l’esigenza di solidarietà nazionale e di moderazione del conflitto politico. E avrebbe il vantaggio di ricordare sempre il principale motivo per cui è così difficile tenere insieme -specie in una fase di intense trasformazioni tecnologiche e sociali- due esigenze che vanno necessariamente contemperate in un regime politico liberaldemocratico: libertà d’impresa e condizioni di vita soddisfacenti per la grande maggioranza dei cittadini.  Destra e Sinistra sono i due orientamenti politici che nascono, due secoli fa, in risposta a questo permanente problema del capitalismo e hanno consentito, nella seconda metà del secolo scorso, il difficile compromesso della liberaldemocrazia. Una interpretazione sfrenata della libertà d’impresa, così come una negazione della sua necessità per consentire libertà politica e stimolare innovazione e crescita economica, sono entrambe nemiche del compromesso sociale da cui è nata la socialdemocrazia, alla quale si sono poi avvicinate correnti liberali e cristiano democratiche. Così come è nemico della liberaldemocrazia il tentativo di sfuggire ai problemi che insorgono in un contesto di globalizzazione adottando una politica di chiusura nazionalistica all’interno dei confini degli stati oggi esistenti: i costi e soprattutto i rischi di conflitto sono assai superiori ai vantaggi. E la necessità di dare un compimento al grande disegno di una vera Unione Europea trova in questo obiettivo la sua principale motivazione.

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Le principali giustificazioni di un indirizzo politico presentato così apoditticamente si trovano nell’articolo del Foglio che è stato distribuito. Una giustificazione più distesa si trova nel libro (Feltrinelli, 2021) “Liberalismo inclusivo”, scritto insieme a Norberto Dilmore, e nell’ampia letteratura ivi citata. Poiché è possibile che non riesca a presentare oralmente quanto è scritto sopra, mi limiterò in tal caso ad alcuni flash che diano un’idea dell’orientamento politico di Libertà Eguale che ritengo auspicabile.

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