Articolo di Giovanni Matteoli.
Il 21 marzo 2023 Emanuele Macaluso avrebbe festeggiato il suo 99° compleanno. In questo ricordo, dato che più volte io ho parlato di lui come Dirigente e uomo politico, vorrei invece affrontare il suo lato umano, le piccole cose della nostra amicizia e del tempo che abbiamo trascorso assieme.
Il primo incontro vero che ho avuto con Emanuele avvenne nel 1986. Ero diventato da poco Segretario di Paolo Bufalini, e Macaluso veniva spesso come poi ho saputo, a trovarlo nell’ufficio di Paolo a Botteghe Oscure.
Avevo già sentito parlare Macaluso in occasioni pubbliche, in comizi e in iniziative politiche di vario tipo, ma non avevo mai avuto modo di incontrarlo così direttamente come quel giorno, quando gli venni presentato da Bufalini.
In quell’incontro assistetti per la prima volta a un confronto aperto e profondo tra due Dirigenti di primo piano del partito Comunista, che avevano un idem sentire, ma anche analisi differenti e ragionamenti politici non identici. Fu un colloquio “franco”, come si diceva a quel tempo, che mi dimostrò la profondità del pensiero di Macaluso, l’acutezza del suo ingegno e le profonde radici delle sue esperienze sociali, politiche e ideali.
Un’ora di chiacchiere, che furono per me una lezione vera e propria del livello del gruppo dirigente del Partito e della testa politica dei due compagni con cui ero stato seduto nella stanza al 5 piano del Bottegone. Ebbi poi modo di stringere i rapporti più da vicino quando, dopo il 1989, ambedue avemmo l’approdo comune, seppur con approcci diversi nell’area riformista, che appoggiò in modo peculiare la svolta di Achille Occhetto.
Comunque, quel primo incontro del 1986 si concluse con l’invito di Emanuele di andare a pranzo insieme, tutti e tre, in una trattoria romana con un buon bicchiere di vino.
Ecco il secondo punto che vorrei affrontare: Emanuele Macaluso e il vino. Su questo argomento potrei scrivere un volume davvero grande. Ricordo che nel libro di Emanuele “50 anni nel PCI“ egli ricorda così suo padre: “impalava quintale di carbone ogni giorno, e ricordo, quando tornava a casa, pranzava con noi a qualunque ora e ingoiava più di mezzo chilo di pasta e un litro di vino nero e forte di Vittoria”. Il vino di Vittoria, il Cerasuolo, Emanuele lo aveva sempre considerato il più buono del mondo; e mentre ribadiva questa verità, credo pensando al padre, aveva negli occhi un lampo di ammirazione.
Ricordo i viaggi che Macaluso faceva con il suo grande amico Napoleone Colajanni, nelle Langhe: andavano a prendere il Barolo, o il Dolcetto, se volevano spendere meno. Già allora il Barolo era molto caro e adesso è carissimo, specie di Bartolo Mascarello il loro fornitore, un compagno irremovibile. Rammento come si divertì Emanuele, negli anni novanta, quando il Cavaliere era candidato Premier di Forza Italia, e Bartolo mise un’etichetta sulle sue bottiglie “no barrique, no Berlusconi” e poi le collocò in vetrina sul corso principale del suo paese che pendeva molto politicamente in quella direzione. Gli mandarono la polizia, ma Bartolo non volle assolutamente togliere quelle bottiglie. Questo gesto di sfida Emanuele lo apprezzò proprio tantissimo, era proprio nel suo animo.
Del resto, non c’è da meravigliarsi, basta pensare ai lirici greci tanto per buttarla nel classico: Alceo, parlando dell’esultanza popolare per la morte del tiranno di Mitilene – Mirsilo, scrisse: “adesso bisogna bere sodo, adesso bisogna ubriacarsi”.
Sotto questo riguardo il rapporto tra il vino e Macaluso è di per sé evidente.
Ma oggi, 21 marzo, è il giorno internazionale della poesia e durante le numerose occasioni conviviali con Macaluso e tanti altri compagni, mi sono sempre tornati alla mente i versi di Umberto Sabain “Teatro degli Artigianelli”.
Tra un atto e l’altro, alla cantina, in giro
rosseggia parco ai bicchieri l’amico
dell’uomo, cui rimargina ferite,
gli chiude solchi dolorosi; alcuno
venuto qui da spaventosi esili,
si scalda a lui come chi ha freddo al sole”.
Alcuni anni fa, per un problema di salute, venne messo a dieta dai suoi medici, e a pranzo doveva bere acqua. Quando lo guardai meravigliato, mi disse un po’ stizzito: “ma guarda, a 80 anni suonati, cosa mi tocca fare! non ho mai toccato acqua a pranzo sin da quando ero piccolo!” e continuò a lamentarsene per giorni e giorni finché la restrizione non gli venne tolta.
Quel che intesi però non riguardava solo la bevanda, ma una questione più generale: egli temeva di perdere quella convivialità che tanto amava fatta di chiacchiere, discussioni anche litigi, che rappresentava il succo dei rapporti umani.
Era proprio quel tessuto di relazioni e di contatti che tanto gli mancava nel periodo buio del Covid, vissuto con profonda tristezza.
Infine vorrei ricordare che oggi, qui tra noi manca qualcuno che non può essere presente: Giorgio Napolitano uno degli amici che gli sono stati più vicini e che lui ha considerato di famiglia. Quando festeggiammo gli 80 anni di Napolitano nel 2005 alla Terrazza Caffarelli, sul Campidoglio, Emanuele scrisse in un bel indirizzo augurale che il loro rapporto era sempre stato “un’amicizia che ho avvertito sempre affettuosa, disinteressata, premurosa”.
Non posso cancellare il ricordo dell’ultima telefonata che mi fece dall’Ospedale, alla vigilia della sua scomparsa: ”Giovanni, dillo a Giorgio che mi aiuti, che mi faccia uscire da qui!” e quanta fatica mi ci volle per calmarlo per dirgli che doveva stare tranquillo e curarsi…”
Con quanto affetto, con quanto rimpianto, caro Emanuele penso sempre ai giorni che abbiamo passato assieme, e a quanto mi manchi.