Sintesi dell’intervento di Erminio Quartiani al seminario di Libertà Eguale Nazionale del 9 giugno 2021 sulle riforme istituzionali e la riforma della legge elettorale.
Dopo una fase di incertezza sui destini della XVIII legislatura, oggi lo scenario più probabile sembra essere quello di una sua conclusione a scadenza naturale.
Ciò rende maggiormente praticabili alcune riforme di carattere istituzionale, in particolare più proponibile e credibilmente fattibile una riforma del sistema elettorale, che necessita di una legge ordinaria, non di una procedura costituzionale con doppia lettura a distanza di sei mesi.
A differenza di altre riforme per le quali c’è l’impegno anzitutto del Governo e della sua maggioranza parlamentare con l’Europa, come condizione per ottenere e realizzare quanto previsto dal Pnrr, il Governo non è obbligato da nessuna regola di ingaggio relativa al sistema elettorale e alle riforme istituzionali. La materia è pertanto tutta nelle mani del Parlamento e dei partiti. E’ dunque questione di sensibilità e di volontà politica tutta in capo ai leader e alle forze parlamentari.
Abbiamo imparato che una riforma elettorale, per non essere oggetto di divisione politica a priori o di puro posizionamento tattico, ma di serio ripensamento delle basi su cui fondano la rappresentanza politica degli eletti, insieme alle basi che rendono il più possibile stabile il governo del Paese, non deve essere una riforma di maggioranza, bensì un terreno di condivisione tra le forze politiche e i gruppi parlamentari.
E’ dunque il Parlamento la sede privilegiata nella quale provare a rendere utile il prosieguo della legislatura, accompagnando con alcune riforme istituzionali e con quella elettorale, le riforme previste dal Governo Draghi ai fini del rilancio economico e sociale dell’Italia, nel quadro del Green Deal, del Next generation EU e del Piano nazionale di ripresa e resilienza, aprendo un confronto serrato sulla ormai matura necessità di dare soluzione istituzionale agli effetti che sulla politica e sulle istituzioni determina il deteriorato rapporto tra cittadini e istituzioni, mai giunto a un così basso livello di considerazione verso la politica e i suoi rappresentanti come è ora.
Le riforme del fisco, della giustizia, della pubblica amministrazione, come di altre tese a dare sbocco alle transizioni ecologica e digitale, rischiano di venire compromesse e di non ottenere il necessario sostegno di opinione pubblica, se non si affronta con decisone e radicalità il tema della ricostruzione di un sistema istituzionale che riveda profondamente le modalità che danno forma alla rappresentanza.
Da troppi anni i cittadini non dispongono del decisivo potere democratico di scegliere direttamente con il voto i propri eletti, costretti a scegliere sigle di partito su liste bloccate sconosciute ai più, decise dalle segreterie di partito , in barba alla necessità di dare rappresentanza sia alla volontà dei singoli cittadini sia alle aspirazioni dei territori, degli interessi e delle istanze legittimi che nei territori hanno origine, tramite un trasparente sistema di scelta degli eletti al parlamento.
Sono stati 15 anni, quelli della legge elettorale denominata Porcellum e di quella denominata Rosatellum, nei quali si è consumata una rottura pericolosissima per la Repubblica parlamentare tra rappresentanti e rappresentati, giunta al suo momento culminante, oltre il quale può solo presentarsi la conclusione dell’esperienza della Repubblica parlamentare per lasciare il campo ad avventure in nome di un presidenzialismo di stampo populista o autoritario, se non si interviene radicalmente per ritornare ai cittadini il potere di scegliere i propri rappresentanti con una legge elettorale condivisa responsabilmente in Parlamento. E’ nell’interesse stesso del Parlamento e dei parlamentari in carica farlo. E’ falso ritenere che non ci siano le condizioni per un passo decisivo nella direzione di una riforma importante del sistema elettorale che possa essere compiuto dagli attuali parlamentari in carica anche nel loro interesse, oltre che di quello generale. Mantenere lo status quo in materia li, e ci trascinerebbe nella più buia delle crisi della rappresentanza che mai si sia determinata nella Repubblica, senza dover per forza ricordare i periodi anteriori all’ affermazione del fascismo nei primi due decenni del ‘900.
Quale che sia l’esito della elezione del nuovo presidente della Repubblica ad inizio del 2022 e quale che sia il futuro comunque della legislatura, con elezioni anticipate o a fine legislatura, i cittadini che andranno al voto dovranno poter contare su un sistema di voto che consenta loro di scegliere liberamente e trasparentemente i propri eletti. Se non sarà così, la protesta potrà montare fino a mettere in discussione la tenuta della democrazia parlamentare. Questa è la mia opinione, sulla base della quale fondo la convinzione che i partiti, e tutti coloro che possono influire sulle loro scelte lo facciano, devono saper mettere in agenda come prioritaria la riforma del sistema elettorale, e portarla a compimento entro un tempo utile ad essere adottata per la prossima competizione elettorale nazionale. Non sarà certo in pericolo la tenuta del governo Draghi se il Parlamento discuterà e disporrà una nuova legge sul sistema di voto che incontri le aspirazioni dei cittadini e infonda più fiducia nelle istituzioni repubblicane!
Purtroppo, anche nel centrosinistra, abbiamo ormai da decenni, non da anni, affrontato il tema della riforma elettorale come un tema legato soprattutto, se non esclusivamente, alla stabilità del governo. Tema quest’ultimo assai rilevante e decisivo, tanto quanto però il tema della rappresentanza, nel senso di consentire, con un sistema semplice e chiaro, di dare esito certo al potere di voto dei cittadini di delegare gli eletti a rappresentarli nelle più alte istituzioni della Repubblica.
Dunque occorre a questo punto chiarire , una volta, per tutte, che non basta disporre di un metodo di assegnazione dei seggi che sia maggioritario, ma che occorre anche scegliere se il sistema su cui si basa la rappresentanza, benché ridefinita in sede di assegnazione dei seggi in senso maggioritario, debba essere un sistema uninominale o plurinominale (cioè basato su liste di candidati) bloccato o aperto a preferenze, e, se bloccato, con i nomi dei candidati riportati in modo visibile sulla scheda di voto (e servono liste corte) oppure no (listoni bloccati).
Posto che una legge elettorale non si dovrebbe fare, come invece è stato con il Porcellum e il Rosatellum, per impedire all’avversario politico di vincere, forse scaramanticamente almeno sapendo che né l’uno né l’altro sono riusciti a cogliere l’obbiettivo di bloccare l’ascesa dell’avversario, siamo oggi nella condizione di prevedere una nuova legge elettorale che esprima al massimo il valore della competizione insieme a quello della delega consapevole da parte dei cittadini e dei territori.
Non serve all’Italia una riformetta, tanto per dire che si è fatta, magari trincerandosi dietro il motivo che nessun eletto intende concedere nulla ai competitori e soprattutto che non intende mettersi in gioco al punto di autolesionisticamente uscire dal grembo protettivo delle liste bloccate dei propri partiti di riferimento, per andare in mare aperto a ricercare il voto non solo per la propria parte, ma anche sulla propria persona. Sarebbe questa una classe dirigente degna di questo nome?
Né serve riproporre sistemi in uso nella prima Repubblica, come quello che prevedeva con metodo proporzionale la competizione basata al Senato (o nelle provincie) sul collegio uninominale, inteso però come mero contenitore di voti, lasciando al disporsi dell’ordine decrescente dei collegi afferenti a ciascuna lista l’assegnazione degli eletti, cosicché capitava spesso che alcuni collegi in ambito regionale al Senato non avessero rappresentanza alcuna, mentre in altri risultavano eletti più senatori di quelli assegnati al collegio. Bel modo di dare risalto alla rappresentanza!
Liberta eguale si è sempre pronunciata a favore del sistema di voto uninominale, con metodo di assegnazione maggioritario, avendo preferenza per il doppio turno alla francese, ma non opponendosi a quel che fu il Mattarellum (75% uninominale e 25% plurinominale su liste corte bloccate riportate sulla scheda elettorale e sbarramento al 4%).
Oggi vengono avanti proposte, compresa quella sostenuta dall’amico Ceccanti, vicepresidente dell’associazione, che, pur avendo il pregio di riportare nel dibattito politico e parlamentare il tema dell’urgenza della legge elettorale, soprattutto dopo la riduzione del numero dei parlamentari ancor più urgente, pur tuttavia, a mio modo di vedere, è una risposta debole alla crisi della rappresentanza, mentre sul piano del metodo ripropone il maggioritario. Sul piano del sistema non può reggere la riproposizione di listoni bloccati, anche se si ipotizza un eventuale secondo turno tra le prime due liste o coalizioni che non ottengano almeno il 40 o il 45% dei voti validi. La debolezza della proposta sul piano della rappresentanza non sarebbe lenita dalla proposizione, in alternativa, di collegi uninominali alla stregua del vecchio sistema del Senato in luogo delle previste liste bloccate.
Mi pare ci sia oggi spazio pe runa proposta più radicale e più adatta ai tempi che viviamo, soprattutto dopo che sia Letta che Salvini si sono dimostrati propensi a cambiare il sistema elettorale. Perché perdere questa occasione?
Letta ha lasciato intendere che si potrebbe cambiare con un sistema tipo Mattarellum. Salvini mi pare non abbia contraddetto.
Alle riforme radicali di Draghi in campo economico, sociale e amministrativo, occorre avere il coraggio di accompagnare una riforma elettorale altrettanto radicale da essere percepita come un vero cambio di marcia da parte degli elettori.